Donna uccisa da chemioterapia, il giudice: "Il dottore è un assassino"

E' stata lapidaria la sentenza emessa dal giudice incaricato di stabilire le responsabilità per la morte di Valeria Lembo, la 33enne uccisa dalla chemioterapia lo scorso 2012: "L'hanno assassinata".

Donna uccisa da chemioterapia, il giudice: "Il dottore è un assassino"

Valeria Lembo fu assassinata. E’ questo il tremendo verdetto emesso dal giudice Claudia Rosini, che ha riservato parole incredibilmente severe per gli imputati dell’omicidio della 33enne avvenuto lo scorso 2012 presso il reparto di Oncologia del Policlinico di Palermo.

Valeria Lembo fu vittima di un errore grossolano quanto atroce: le vennero somministrati 90 milligrammi di farmaco anziché 9, uno “0” in più dovuto ad una grottesca distrazione da parte dei medici che le fu fatale. La 33enne era affetta da un tumore alla gola, ma lo sbaglio commesso dai dottori durante la chemioterapia – quando le iniettarono quindici viale di vinblastina, dieci volte la dose necessaria – la stroncò sul colpo.

Per questo il giudice Claudia Rosini non ha utilizzato giri di parole per descrivere una vicenda che lei stessa ha indicato come: “La più grave colpa medica mai commessa al mondo“, in seguito alla quale gli imputati per l’omicidio della donna si sono preoccupati solamente di “Negare qualsiasi assunzione di responsabilità, incolpandosi a vicenda“.

Per il giudice Rosini non c’è dubbio dunque: “E‘ stato un assassinio” in piena regola. Le motivazioni della sentenza si possono leggere sul documento redatto dalla stessa Rosini, un tomo di ben 277 pagine, nelle quali medici ed infermiere del Policlinico sono riconosciuti come i reali responsabili della morte della paziente.

Anche perché Valeria Lembo, affetta da linfoma di Hodkin, era all’ultima seduta di chemioterapia, e quel tipo di tumore di norma viene guarito con successo nell’80% dei casi. Statisticamente dunque la 33enne aveva quattro possibilità su cinque di riuscire a sconfiggere la sua malattia. Ma la negligenza dei medici, non le ha permesso nemmeno di tentare.

L’utilizzo del termine assassinio non è causale perché di questo si è trattato, avendo gli imputati cooperato a cagionare la morte di una paziente per avvelenamento somministrandole una dose di vinblastina dieci volte superiore a quello dovuto“, si legge nella sentenza. Quando valeria è morta, ha lasciato il vedovo marito ed orfano il figlio di soli sette mesi.

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