Un respiro diverso, quasi impercettibile. La sua compagna, Rossella, se n’è accorta subito. Ha provato a svegliarlo, lo ha chiamato più volte, sempre più insistentemente. Ma Pietro Colamartino, 59 anni, non ha più risposto. Se n’è andato così, in un attimo, lasciando sgomente due comunità che gli volevano bene: quella dell’Aquila, dove viveva ormai da anni, e quella di Pescina, suo paese d’origine, che non lo ha mai dimenticato. A nulla è servito l’arrivo dei soccorsi: per Pietro non c’era più nulla da fare. Lunedì sarà eseguita l’autopsia per chiarire le cause esatte del decesso, anche se i primi accertamenti farebbero pensare a un improvviso malore notturno.
Un decesso che lascia senza parole, soprattutto per chi lo conosceva come uomo attivo, pieno di vita, atleta appassionato, sempre in movimento. Pietro, infatti, era un simbolo per il mondo sportivo outdoor abruzzese. Chi lo ha conosciuto lo descrive come «un atleta con la A maiuscola», un uomo che viveva la montagna con dedizione, rispetto e passione autentica. Non era alla ricerca della performance o della vittoria a tutti i costi: amava la natura, le salite faticose, le gare di trail e scialpinismo. «Non correva per arrivare primo, correva per stare bene», raccontano gli amici, ancora increduli.
La sua ultima gara è stata appena una settimana fa: sabato, dopo il turno di lavoro, aveva partecipato a una competizione di scialpinismo sul Gran Sasso, organizzata dal circuito “Live Your Mountain”. Non sapeva che sarebbe stata la sua ultima vetta. Nato e cresciuto a Pescina, nella Marsica, Pietro era noto in paese fin da piccolo. La sua famiglia gestiva una piccola macelleria in via Montegrappa, talmente minuta che in paese li chiamavano affettuosamente “i Buchitt”. Era un bambino vivace, curioso, pieno di amici, con una naturale inclinazione per l’avventura. Amava la montagna fin da giovanissimo. «La mia prima settimana bianca l’ho fatta con lui, eravamo andati a La Villa, in Alto Adige», racconta il sindaco di Pescina, Mirko Zauri. «La notizia del suod decesso mi ha colpito profondamente.
Era un punto di riferimento per molti di noi». Fedele all’indole artistica e commerciale dei genitori, da giovane aveva aperto uno studio fotografico a Pescina, in via Romolo Tranquilli. Le sue fotografie hanno raccontato momenti importanti della vita cittadina, trasformandosi nel tempo in una sorta di archivio affettivo per l’intera comunità. Poi il trasferimento all’Aquila, insieme a Rossella, infermiera, e il lavoro in un supermercato a Paganica. Una vita semplice, riservata, ma profondamente ricca: fatta di relazioni sincere, passioni autentiche, natura, silenzi e sfide fisiche e interiori.
Il suo decesso improvvisa ha lasciato un grande vuoto tra amici, parenti e compagni di avventura. Era un habitué dei percorsi più impegnativi, dalle vette abruzzesi a quelle del Trentino e della Valle d’Aosta. E coltivava anche un sogno, che non aveva mai nascosto: vivere un’esperienza estrema sul Nanga Parbat, una delle cime più affascinanti e temute del Pakistan. Oggi il suo ricordo vive nei racconti di chi ha condiviso con lui la fatica e la gioia delle salite, nelle foto che ha scattato, nei sorrisi che ha regalato. Un uomo discreto, sempre pronto ad aiutare, capace di camminare “un passo indietro” per dare spazio agli altri. Una presenza silenziosa, ma forte. Come le montagne che tanto amava.