Delitto Yara, carcere a vita per Bossetti

Ergastolo per Massimo Bossetti, riconosciuto colpevole dell’omicidio della ragazzina di Brembate di Sopra. La mamma di Yara: ‘Ora so chi è stato’. Tre anni di indagini e un processo durato 45 udienze

Delitto Yara, carcere a vita per Bossetti

Dopo dieci ore di camera di consiglio, la Corte di Assise di Bergamo ha emesso la sentenza di primo grado sul processo per l’omicidio di Yara Gambirasio, scomparsa da Brembate di Sopra (Bergamo) il 26 novembre 2010 e ritrovata senza vita dopo tre mesi in un campo di Chignolo d’Isola, a circa 10 km dal paese della ragazzina.

Per i giudici il colpevole dell’assassinio della tredicenne ginnasta è Massimo Bossetti, il muratore di Mapello, arrestato il 16 giugno 2014 dopo oltre tre anni di indagini che hanno portato ad individuare il colpevole grazie alla compatibilità del suo DNA con quello rinvenuto sugli indumenti intimi della vittima. I giudici hanno accolto le richieste del pubblico ministero condannando l’uomo all’ergastolo oltre a privarlo della podestà genitoriale sui tre figli. Bossetti dovrà anche risarcire i genitori di Yara versando loro 400 mila euro ciascuno e i due fratelli della ragazzina con 150 mila euro a testa.

In piedi, impassibile, Massimo Bossetti ha ascoltato il verdetto dei giudici ripetendo solo la frase: “Non è giusto”.  L’imputato si è sempre proclamato innocente e nell’ultimo intervento in aula aveva supplicato di ripetere il test del DNA lanciando un monito ai giudici: “Se mi condannerete sarà il più grave errore del secolo”. La moglie Marita Comi non ha lasciato dichiarazioni, lasciandosi andare ad un pianto disperato appena fuori dell’aula.

Dopo il verdetto Maura, la mamma di Yara, ha riferito ai suoi avvocati: “Ora sappiamo chi è stato, anche se Yara non ce la riporterà indietro nessuno”.  I genitori della ragazzina non hanno mai avuto dubbi sulla colpevolezza di Bossetti, da quando è avvenuto l’arresto, e hanno atteso con serenità l’evoluzione del processo.

Per il procuratore di Bergamo Massimo Meroni, la vicenda è arrivata a metà strada. Si tratta di una sentenza di primo grado dopo ben 45 udienze, nel quale le parti si sono scontrate sulla prova del DNA, che per il momento condanna l’imputato al carcere a vita.

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