Sabrina Misseri,come sappiamo, è stata condannata all’ergastolo assieme alla madre Cosima Serrano per aver ucciso la cuginetta 15enne Sarah Scazzi e averne gettato il cadavere in un pozzo nella campagna di Avetrana, in provincia di Taranto.
Era il 26 agosto 2010 e la scomparsa della ragazzina ebbe, immediatamente, un grande impatto mediatico. In tanti, per giorni, hanno sperato che Sarah fosse viva fino al macabro ritrovamento del suo corpo, avvenuto il 6 ottobre 2010, in un pozzo. La drammatica notizia fu data nel corso della puntata della trasmissione Chi l’ha Visto?.
La negazione del permesso premio
Tra accuse e smentite che si sono rincorse lungo tutto il processo, si è arrivati alla condanna all’ergastolo di Sabrina e della madre Cosima per concorso in omicidio volontario, mentre per il reato soppressione di cadavere Michele Misseri, zio di Sarah e padre di Sabrina, è stato condannato a 8 anni di reclusione. Il movente di questo atroce delitto? La gelosia morbosa che Sabrina nutriva nei confronti della piccola Sarah per via di Ivano Russo, 27enne di Avetrana, con il quale Sabrina aveva un flirt.
Ora per la 34enne di Avetrana arriva un altro duro colpo. La Cassazione, infatti, ha confermato il suo no alla richiesta avanzata dalla Misseri di ottenere un permesso premio per uscire dal carcere di Taranto. Sabrina non ha mai ammesso il delitto, che non è una condizione necessaria per il permesso ma, secondo i giudici, indica la mancanza di una “rivisitazione critica” del suo “pregresso comportamento deviante” e ne attesta la pericolosità sociale.
Per la difesa: “non è stato tenuto conto il positivo percorso penitenziario”compiuto dalla 34enne di Manduria, mettendo in evidenza, invece, il fatto che la donna “rifiuta di assumersi la responsabilità dell’omicidio per il quale è stata condannata“. I difensori di Sabrina Misseri, ritengono “legittima” la sua scelta di non assumersi la responsabilità, rilevando che “la condannata ha proposto ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo e intende proporre istanza di revisione della condanna“. La difesa conclude così:”Sicché è legittimo il comportamento di negazione della responsabilità che non può essere valorizzato per rigettare il permesso premio, istituto finalizzato al favorire il reinserimento sociale”.