La cronaca giudiziaria del delitto di Martino Caldarelli si arricchisce di elementi che vanno oltre i confini già noti del caso, oltre le parole fredde di un’ordinanza. Emergono dettagli capaci di toccare corde profonde, che parlano non solo di crudeltà, ma anche di disperazione, cinismo e perdita di umanità. Uno su tutti: la telefonata tra Alessia Di Pancrazio, 26 anni, e la sua bambina di sei, pochi istanti prima di essere arrestata. «Mamma, metti il telefono vicino che ti devo dire un segreto… Mamma, mi prendono quando esco.
Non ti scordare della mamma. Ricordati che io l’ho fatto per te. Dammi un bacio». Sono le parole che la donna ha rivolto alla figlia la sera del 14 aprile alle 19:35, tre giorni dopo il delitto e poche ore prima della confessione resa agli inquirenti insieme al suo compagno, Andrea Cardelli, 41 anni. Un addio sussurrato, che porta il peso di una consapevolezza: quella di chi sa di non poter più tornare indietro. La telefonata, contenuta nell’ordinanza firmata dal giudice Lorenzo Prudenzano, rappresenta uno degli elementi centrali dell’indagine, in cui si legge anche il tentativo della donna di eliminare le conversazioni Facebook con la vittima, per cancellare le proprie tracce digitali.
Proprio oggi, i due indagati torneranno davanti al giudice per un nuovo interrogatorio di garanzia, legato anche a un episodio precedente di furto e sequestro di persona. Nel frattempo, l’ordinanza di custodia cautelare delinea un quadro sempre più nitido della dinamica del delitto di Martino Caldarelli, il falegname e dj 48enne di Isola del Gran Sasso. Un delitto che sarebbe maturato nell’ambito di un ricatto intimo, degenerato in crudeltà, e culminato con il corpo gettato in un laghetto a Corropoli. Secondo il giudice, Di Pancrazio e Cardelli avrebbero agito con «assoluta assenza di scrupoli, in preda a un delirio malavitoso, incapaci di contenere pulsioni violente». La crudeltà del gesto è raccontata nei dettagli raccapriccianti: Martino Caldarelli fu colpito con oltre dieci coltellate, una delle quali gli recise la vena giugulare.
Poi, mentre tentava di fuggire, fu finito davanti casa con due colpi di pala alla fronte che gli sfondarono il cranio. Non solo del delitto, ma anche l’occultamento del corpo, la sostituzione delle targhe della Fiat Panda della vittima e l’incendio dell’auto a distanza di ore. Una sequenza, scrive ancora il gip, che mostra «la totale assenza di freni morali» e una «spaventosa capacità di simulazione e mistificazione delle responsabilità». Inquietante anche il collegamento con un altro episodio precedente: pochi giorni prima del delitto, i due avrebbero affrontato e sequestrato un invalido civile, minacciandolo di farlo fuori per impedirgli di sporgere denuncia. Il giudice sottolinea che «le esigenze cautelari sono rese ancora più gravi dall’inaudita crudeltà e dalla serialità dei reati», rivelatori di «un totale disprezzo della vita altrui e di una pericolosità sociale estrema».
La confessione, per quanto tardiva, ha permesso il ritrovamento del corpo. È stata proprio Alessia Di Pancrazio, la prima a crollare davanti agli investigatori, a indicare dove si trovasse il corpo. Poco dopo, anche Andrea Cardelli ha ammesso la sua parte nella vicenda, raccontando la dinamica dell’affronto iniziata in camera da letto e proseguita lungo le scale, fino all’epilogo letale. Un delitto che scuote, non solo per la crudeltà con cui è stato compiuto, ma per l’apparente normalità di chi lo ha commesso.
E ora, mentre si attende l’esito degli interrogatori e l’ulteriore sviluppo delle indagini, resta lo strazio per una vita spezzata e per il futuro di una bambina che dovrà fare i conti con un brutto retroscena: «L’ho fatto per te», le ha detto la madre. Parole che oggi, davanti alla giustizia e alla coscienza, pesano come un macigno.