Il prossimo 14 gennaio inizierà a Crotone un processo particolarmente delicato, destinato ad attirare l’attenzione nazionale e internazionale. Al centro dell’inchiesta, il naufragio avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023 davanti alle coste di Steccato di Cutro, in Calabria. In quell’occasione persero la vita 94 persone, tra cui molti bambini.
La magistratura ha deciso di portare a giudizio sei militari, quattro appartenenti alla Guardia di Finanza e due alla Guardia Costiera, con l’accusa di non aver fatto quanto in loro potere per evitare le conseguenze di quel tragico evento. Secondo la ricostruzione della procura, i militari avrebbero agito con negligenza, ignorando i protocolli che impongono il soccorso immediato di imbarcazioni in difficoltà, indipendentemente dalle condizioni meteo o dalla natura dei passeggeri a bordo. L’attenzione si concentra sul mancato avvio delle operazioni di salvataggio nonostante un allarme lanciato da Frontex, l’agenzia europea che monitora i confini, che già in serata aveva segnalato la presenza di un’imbarcazione sovraccarica al largo delle coste calabresi.
In particolare, emerge che alcune motovedette non si sarebbero mosse e che le autorità coinvolte non avrebbero avviato tempestivamente il piano di soccorso previsto in questi casi. La giudice per l’udienza preliminare ha accolto le richieste della procura, rinviando a giudizio i sei imputati. Le bsi basano su ipotesi di gravi omissioni e sul fatto che si sarebbero potute mettere in atto azioni più tempestive per evitare le gravi conseguenze che si sono verificate.
La documentazione raccolta dagli inquirenti sottolinea come, in quel momento, vi fossero tutte le condizioni per valutare la situazione come pericolosa, e che vi fosse quindi l’obbligo di intervenire. I legali delle famiglie delle persone coinvolte, tra cui Marco Bona, Alessandra Calabrese e Gianluca Bertone, hanno espresso soddisfazione per la decisione del tribunale. Ritengono che questo processo rappresenti un primo passo verso un possibile chiarimento sulle responsabilità di quella notte. Hanno ribadito che, al di là degli aspetti giuridici, vi è una questione umana e morale che non può essere ignorata.
La loro speranza è che il procedimento giudiziario possa contribuire a far luce su ciò che accadde e a promuovere una riflessione più ampia sulla gestione delle emergenze in mare. Alcune dichiarazioni pubbliche, come quella del ministro Matteo Salvini, che ha definito il rinvio a giudizio una “vergogna”, hanno alimentato il dibattito. Secondo gli avvocati delle famiglie, queste parole non aiutano a mantenere un clima sereno attorno a una vicenda già di per sé molto complessa. A loro avviso, occorrerebbe maggiore rispetto per chi sta cercando di ottenere risposte attraverso i canali istituzionali. Il processo si preannuncia lungo e articolato. Non sarà semplice stabilire fino a che punto le decisioni prese in quelle ore abbiano influito sull’esito della traversata. Tuttavia, questa vicenda apre uno spazio importante per interrogarsi su come vengano applicati i protocolli di soccorso e sul ruolo delle istituzioni nei momenti critici. La speranza di molti è che dal procedimento emerga una verità documentata e che da essa possano scaturire misure concrete per migliorare le modalità di intervento in situazioni simili.