Covid, l’Oms sconsiglia l’uso del plasma iperimmune per curare l’infezione nei casi non gravi

L' Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di non utilizzare il plasma nei casi non gravi e nei "pazienti con malattia grave e critica". Consiglia questa terapia nei casi critici solo nell'ambito di "di uno studio controllato".

Covid, l’Oms sconsiglia l’uso del plasma iperimmune per curare l’infezione nei casi non gravi

Il plasma iperimmune dei pazienti guariti dal Covid non va usato per chi sviluppa la malattia in forma non grave. Lo si legge all’interno del settimo aggiornamento delle linee guida dell’Oms contro il Covid“L’evidenza scientifica dimostra che ad oggi il plasma convalescente non migliora la sopravvivenza né riduce la necessità di ventilazione meccanica”. Mentre la terapia ha “costi significativi”. 

Per arrivare a questa conclusione un gruppo di esperti indipendenti ha esaminato i dati aggregati di 16 studi con 16.236 pazienti colpiti da Covid-19 sia con sintomi non gravi, che gravi o finiti in terapia intensiva. Grazie a questo studio è risultato evidente che il plasma dei convalescenti non ha dato alcun beneficio nei pazienti non gravi, mentre lo era meno nel caso di chi aveva la malattia in condizioni gravi e critiche. Quindi, secondo l’Oms, dovrebbero continuare gli studi clinici solo in questi due ultimi sottogruppi mentre si invita ad abbandonare la terapia per i pazienti non gravi.

Le motivazioni dell’Oms

Le motivazioni dell’Oms non lasciano fraintendimenti: “Dato che non vi è alcun beneficio dimostrato, non esiste alcuna giustificazione per impiegare tempo e risorse nella somministrazione del plasma iperimmune”. E”questo vale per tutti i pazienti, inclusi i bambini e le donne in gravidanza.Il gruppo di ricerca, composto da 59 esperti, tra cui il dottor Maurizio Cecconi di Humanitas, è arrivato alla conclusione che una combinazione di prove, valori, preferenze e fattibilità hanno contribuito alla forte raccomandazione contro il plasma.

Il gruppo ha aggiunto che, nonostante le sperimentazioni non abbiano determinato “un aumento importante nei rischi di danno polmonare acuto correlato alla trasfusione, sovraccarico circolatorio o reazioni allergiche”, “la trasfusione può sempre rappresentare un potenziale rischio biologico”, oltre a essere un processo costoso che richiede tempo”.

Se il plasma iperimmune sembrerebbe una terapia da abbandonare, una speranza arriva dai nuovi farmaci monoclonali. Come spiegato da Giorgio Palù, presidente dell’Agenzia italiana del farmaco, in audizione davanti alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, i nuovi farmaci monoclonali sarebbero in grado di neutralizzare il virus con grandissima efficacia bloccando l’infezione.

Palù ha dichiarato: “Presto avremo a disposizione monoclonali somministrabili per via sottocutanea o muscolare come tutti gli antivirali vanno somministrati entro 72 ore, comunque non oltre 5 giorni dall’esordio dei sintomi. In molti casi si potrà intervenire direttamente a casa del paziente, senza intasare il pronto soccorso o le aree mediche”. Va precisato che gli anticorpi monoclonali ad ora autorizzati sono ancora oggetto di valutazione e l’impiego è limitato perché richiedono infusione endovena per un’ora e osservazione per un’ora, ovviamente quasi sempre in regime ospedaliero.

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