Quando l’abito non fa il monaco, questo verrebbe da pensare a chi legge della condanna inflitta a don Alberto Barin, che fino a poco tempo fa assisteva le anime in pena dei detenuti ristretti nel carcere di San Vittore. L’arresto risale a più di un anno fa e l’accusa era pesante: abusi sessuali nei confronti di 12 detenuti. Nel processo tuttavia gran parte delle accuse sono crollate, i capi di imputazione sono stati ridotti a quattro, tutti per violenza sessuale ma derubricati nella forma della lieve entità.
La strada scelta dalla difesa è stata quella del rito abbreviato, l’ex cappellano oggi 52enne, finì in carcere nel 2012 per violenze sessuali aggravate ai danni di detenuti di origine nordafricana. Le violenze sarebbero state compiute tra il 2008 e il 2012. L’aggravante posava sullo “stato di bisogno” dei detenuti poiché l’accusa riteneva che il cappellano avrebbe dato alle vittime sigarette, saponette, e altri prodotti di poco valore ma che consentono una vita migliore a chi in carcere non ha neanche quello, in cambio li avrebbe obbligati a subire atti sessuali.
Per il religioso arriva invece in parte l’assoluzione, difeso dall’avv. Mario Zanchetti, le accuse di violenza sessuale compiute su otto dei 12 detenuti decadono, cosi come perde efficacia l’accusa più grave che interessava fatti avvenuti ai danni di un uomo ghanese. Gli inquirenti nel redigere l’imputazione, avrebbero indicato che il cappellano si serviva di una sorta di “specchietto retrovisore” installato nel suo ufficio, che fungeva da controllo per l’eventuale arrivo di persone nella stanza, cosi da tranquillizzare il detenuto durante gli atti cui veniva costretto.
Lunga quindi la lista delle accuse decadute in fase processuale: perde efficacia l’accusa per “abuso di autorità”, mentre per i fatti di violenza sessuale, vengono accertate responsabilità di minore gravità. Sono stati infatti accertati solo avvenimenti che consistevano in azioni di “toccamenti repentini” ai danni di un detenuto nigeriano e di un algerino e di due ivoriani di 27 e 38 anni.
Altra accusa che ha subito riqualificazioni in fase processuale è quella di concussione: il giudice ha provveduto per “induzione indebita a dare o promettere utilità”, in sostanza, don Barin avrebbe solo “indotto” i detenuti ad avere rapporti sessuali con lui. Decade poi l’ipotesi secondo la quale l’ex cappellano avrebbe condotto gli abusi anche al di fuori del carcere, invitando i detenuti rimessi in libertà nella propria abitazione. Medesima sorte per l’aggravante dei motivi “abietti e futili” cosi come per il reato di atti osceni in luogo pubblico.
Sembra molte le sviste prese dai Pm, per ora Barin si trova agli arresti domiciliari in un convento ed è stato interdetto per cinque anni dai pubblici uffici, tuttavia considerando le richieste dell’accusa e le decisioni del Gup, è molto probabile l’appello da parte della Procura, cosi come sarà probabilmente tenuta la stessa linea difensiva che ha fin’ora insistito sulla tesi degli atti sessuali avvenuti tra persone maggiorenni e consenzienti.