Il processo a carico di Monia Bortolotti, la 29enne di Pedrengo accusata della scomparsa dei due figli Alice e Mattia, è arrivato al momento decisivo. Dopo mesi di dibattimento, la pubblica accusa guidata dalla pm Maria Esposito ha chiesto la condanna all’ergastolo con sei mesi di isolamento diurno, definendo la vicenda una delle più delicate mai affrontate. La richiesta è stata formulata al termine di una lunga requisitoria durata quasi sei ore, in cui la magistrata ha sottolineato come, a suo avviso, la donna non abbia mai mostrato segni di pentimento, né durante le indagini né nel corso del processo.
Secondo la pubblica accusa, la scomparsa dei piccoli Alice e Mattia non può essere interpretata come una tragica fatalità. La pm sostiene che Bortolotti, incapace di gestire lo stress della maternità, avrebbe agito in modo lucido, alterando versioni e ingannando i familiari. La difesa, rappresentata dall’avvocato Luca Bosisio, si muove invece in direzione opposta: ha chiesto l’assoluzione o, in alternativa, il proscioglimento per vizio di mente. In subordine, ha invocato almeno il riconoscimento delle attenuanti generiche, richiamandosi alla difficile storia personale della donna.
Determinanti saranno le perizie acquisite agli atti. Quella medico-legale, disposta direttamente dalla Corte, ha stabilito che il piccolo Mattia avrebbe perso la vita per un’insufficienza respiratoria acuta dovuta a compressione meccanica, ipotesi che rafforza la linea accusatoria. Più complessa la valutazione psichiatrica, che invece propende per l’incapacità di intendere e di volere dell’imputata al momento dei fatti.
Due visioni che si contrappongono e che i giudici dovranno armonizzare prima del verdetto, atteso per il 17 novembre. La pm Esposito ha richiamato vari episodi emersi durante le indagini: accessi al pronto soccorso per il pianto inconsolabile di Alice, contraddizioni nelle dichiarazioni sulla scomparsa di Mattia e intercettazioni in cui la donna apparirebbe più preoccupata per le indagini che per la perdita dei figli. Secondo l’accusa, tali elementi rafforzano il quadro di una condotta consapevole e pianificata.
L’avvocato Bosisio ha invece sottolineato le fragilità della sua assistita, cresciuta in orfanotrofio e segnata da un’infanzia difficile. Per la difesa, le incoerenze nei racconti non sarebbero state frutto di una strategia, ma dell’instabilità emotiva di una giovane donna alle prese con una condizione psicologica compromessa. Sono state inoltre richiamate possibili patologie del piccolo Mattia, ipotizzate da consulenti di parte, per escludere un nesso diretto con un’azione volontaria della madre. Il caso, che ha suscitato un forte dibattito pubblico, mette in luce il difficile equilibrio tra valutazioni scientifiche, interpretazioni psicologiche e responsabilità penali. La Corte d’Assise di Bergamo, presieduta dalla giudice Patrizia Ingrascì, dovrà ora stabilire se le tesi dell’accusa troveranno conferma o se prevarrà l’impostazione della difesa.