Il caso di Chiara Poggi, giovane trovata senza vita a Garlasco il 13 agosto 2007, continua a suscitare interesse e nuove ipotesi a oltre diciotto anni dai fatti. Un particolare recente ha attirato l’attenzione degli appassionati di misteri e degli esperti del settore investigativo: i tre puntini di sangue visibili sulla coscia della ragazza, poco lontano dal divano dove era stata ritrovata.
Questi segni, apparentemente senza senso, hanno spinto alcuni a ipotizzare un collegamento con simboli e rituali massonici, alimentando così una nuova pista nel complesso scenario investigativo. Il settimanale “Giallo” ha acceso i riflettori su questo dettaglio, ricordando come i tre puntini siano un simbolo riconosciuto all’interno della massoneria.
La suggestione è quindi quella di un possibile legame con ambienti o pratiche legate a questa organizzazione. Nonostante si tratti di un elemento da approfondire con cautela, l’idea ha trovato spazio nelle discussioni tra esperti e appassionati, contribuendo a mantenere viva l’attenzione sul caso.
Nel frattempo, l’avvocato di Alberto Stasi, unico condannato per la vicenda, Antonio De Rensis, ha rilanciato la tesi secondo cui più persone potrebbero essere state presenti sulla scena al momento dei fatti. Questa dichiarazione apre nuovi scenari e lascia intendere l’intenzione di eseguire ulteriori accertamenti tecnici per chiarire alcune incongruenze. De Rensis ha annunciato imminenti sviluppi che potrebbero riaccendere il dibattito attorno a una vicenda che ha attraversato anni di indagini e processi.
Durante l’ultima puntata della trasmissione “Filorosso”, è intervenuto anche il generale Garofano, consulente della famiglia Sempio, che ha voluto chiarire alcuni dettagli riguardanti la posizione del corpo di Chiara. Secondo il generale, le fotografie dei primi rilievi mostrerebbero la ragazza riversa con la testa rivolta verso la cantina, un particolare che potrebbe risultare rilevante nell’analisi della scena.
Uno degli aspetti centrali della riapertura del caso riguarda l’impronta digitale denominata “33”, elemento che ha suscitato molte discussioni. La genetista Marina Baldi ha espresso un giudizio critico, sottolineando che l’impronta non sarebbe insanguinata e quindi non potrebbe essere con certezza collegata ai momenti immediatamente successivi ai fatti. Inoltre, secondo le linee guida italiane, le “15 minuzie” individuate sull’impronta non raggiungerebbero la soglia minima necessaria per un riconoscimento certo.
Questa posizione è stata però contestata dall’avvocato De Rensis, il quale ha ribadito che la quantità di minuzie non è sempre l’aspetto decisivo, ma conta maggiormente la qualità della traccia, ricordando casi in cui anche 12 minuzie sono state considerate sufficienti per un’identificazione. Il generale Garofano, dal canto suo, ha precisato che nella zona dell’impronta non erano presenti tracce di sangue o elementi che potessero suggerire un collegamento diretto con il momento dell’evento.
Un altro elemento dibattuto è stato il cosiddetto “Dna fantasma”, ovvero un profilo genetico sconosciuto emerso nelle prime fasi delle indagini. Il generale Garofano ha escluso che vi fosse un profilo diverso da quelli di Stasi o della vittima, affermando che, se fosse esistito, sarebbe stato un punto cruciale nelle indagini.