Il 23 aprile del 2015 è il giorno in cui arriva ad Arezzo, alla casa circondariale, il frate congolese, conosciuto ai più con il nome di padre Graziano, con un volto serio, grave che contrasta la gioia e la felicità che emana invece la sua camicia dai colori vivaci e sgargianti. Il prelato finisce in cella con l’accusa di aver ucciso Guerrina Piscaglia.
Padre Graziano ha passato mesi in carcere, nella completa solitudine, o quasi. Molto poche, infatti, sono le persone che sono andate a fargli visita in carcere. Dopo una lunga attesa e poche speranze, al padre congolese vengono accordati gli arresti domiciliari. Quindi padre Graziano raggiunge la sua confraternita, ad una sola condizione, cioè quella di indossare il braccialetto elettronico.
Nel convento romano trascorre le giornate tra impegni domestici e riti religiosi, tra cui anche quello della celebrazione quotidiana della messa. Gli auguri pasquali ricevuti in convento dal padre hanno scatenato numerose polemiche, in particolar modo nel piccolo paesino di Cà Raffaello. GIà, alcune di quelle lettere sono proprio di parrocchiane ancora fedeli al prelato. Fedeli, che almeno per il momento, non credono alla ricostruzione dell’accusa, che dipinge il prelato come un abile omicida.
Il sostituto procuratore della Corte di Cassazione aveva chiesto la cessazione dei domiciliari per padre Graziano, mentre la Corte ha disposto il rinvio al Tribunale del Riesame per una nuova decisione in merito. Decisione che sembrerebbe essere orientata verso un ritorno in carcere.
Sono due anni che si cerca di capire, che si cerca di dare risposte a dei quesiti inquietanti. In casa sua, il marito ha voluto lasciare tutto come quel 1 maggio del 2014, data in cui Guerrina è scomparsa. Uccisa o scomparsa? E’ questo il dubbio che cercano di risolvere gli inquirenti. Cosa che si è rivelata più difficile anche in considerazione del fatto che manca il corpo della donna. C’è solo la presenza di un frate, che aveva fatto breccia nel cuore della povera donna e che ora è indagato per omicidio.