Giovanni Brusca, noto alle cronache come “il boia di Capaci”, è tornato ufficialmente un uomo libero. Dopo aver trascorso 25 anni in detenzione e 4 anni sotto sorveglianza, non ha più obblighi nei confronti della giustizia italiana. Fu lui, il 23 maggio 1992, a premere il telecomando che fece saltare in aria un tratto dell’autostrada A29, provocando la scomparsa del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Arrestato nel 1996 a Cannatello, in provincia di Agrigento, Brusca è stato uno dei principali esecutori di Cosa Nostra. Si stima che sia stato coinvolto in oltre cento delitti, tra cui quello di Giuseppe Di Matteo, il figlio tredicenne del collaboratore Santino Di Matteo, la cui fine sconvolse il Paese. Partecipò anche all’attentato che costò la vita al giudice Rocco Chinnici nel 1983 e all’eliminazione del parlamentare Salvo Lima nel 1992.
Dopo un primo approccio ambiguo alla collaborazione, scelse realmente di cooperare con i magistrati, fornendo elementi chiave per decifrare la struttura di Cosa Nostra. In virtù della legge sui collaboratori di giustizia, introdotta proprio da Falcone, ha beneficiato di una riduzione di pena e, dal 2021, era in libertà vigilata.
Ora Brusca vivrà sotto protezione, lontano dalla Sicilia e con una nuova identità. La sua liberazione definitiva ha riaperto una ferita profonda nella memoria nazionale, suscitando indignazione tra chi ha perso persone care in quella stagione drammatica. Tina Montinaro, moglie del caposcorta del giudice Falcone, ha espresso con forza la propria delusione: “So che la legge è stata rispettata, ma questa non è giustizia. È una ferita che si riapre. Chi ha fatto tanto male a questo Paese non dovrebbe tornare alla libertà”.
Dello stesso avviso Giuseppe Costanza, unico superstite della strage di Capaci: “Chi si è macchiato di simili azioni non dovrebbe avere alcuna possibilità di reinserimento, neanche con un’altra identità”. Anche Alfredo Morvillo, fratello della magistrata Francesca Morvillo, ha ricordato che “anche da uomo libero, Brusca rimane ciò che è stato”.
Lo stesso Brusca, nel libro-intervista Uno così di don Marcello Cozzi, ha ammesso la contraddizione che segna il suo presente: “Questa libertà me l’ha donata il magistrato che ho eliminato”. Una frase che, per quanto possa apparire sincera, non basta a spegnere il dolore di chi porta nel cuore le cicatrici di quel periodo.