La Digos ha effettuato un blitz nella casa di Gabriele Rubini, noto come Chef Rubio, nei Castelli Romani, sequestrando i suoi dispositivi elettronici e bloccando i suoi profili social. L’operazione, svolta su delega dell’autorità giudiziaria, è stata motivata da alcune dichiarazioni pubblicate dallo chef sui suoi canali social, in particolare sul profilo X, in cui esprimeva forti critiche contro le autorità israeliane.
A riferire dell’intervento è stato l’attivista Alberto Fazolo, che ha condiviso anche la foto della denuncia della Questura di Roma. La perquisizione è avvenuta il 17 luglio alle prime ore del mattino, quando gli agenti della Divisione investigazioni generali – Operazioni speciali, III Sezione Antiterrorismo Interno, hanno raggiunto la residenza di Rubini. Durante il blitz sono stati sequestrati tutti i dispositivi elettronici in suo possesso, inclusi smartphone, computer e chiavette USB.
Dopo l’operazione, Chef Rubio è stato accompagnato al commissariato di Frascati, dove è rimasto fino alla sera. L’obiettivo era quello di acquisire informazioni sulle sue attività online, con particolare attenzione a due post pubblicati il 21 e il 22 maggio, oltre a verificare le conversazioni private su app di messaggistica come Telegram e Signal. Secondo Fazolo, Chef Rubio è libero e sta bene, anche se per un po’ non potrà comunicare attraverso i suoi consueti canali.
I post oggetto della denuncia contenevano frasi molto dure, nelle quali lo chef manifestava la sua ferma opposizione al governo israeliano. Nel primo, Rubini esprimeva un giudizio molto severo, parlando di «genocidio in atto da 77 anni» e condannando il sionismo e il colonialismo, mentre esprimeva solidarietà alla Palestina e ai palestinesi. Nel secondo post, pubblicato dopo un attentato a Washington che aveva coinvolto diplomatici israeliani, si interrogava sulla differenza tra funzionari dell’ambasciata e soldati israeliani, accusando entrambi di ruoli nella repressione dei palestinesi.
La vicenda ha acceso un dibattito acceso sui limiti della libertà di espressione e sulla linea sottile tra critica politica e istigazione (nella fattispecie, all’antisemitismo). Da una parte si riconosce a Rubini il diritto di esprimere il proprio pensiero, dall’altra si evidenzia come alcune affermazioni possano rientrare nell’ambito di comportamenti passibili di indagine penale, soprattutto quando coinvolgono tematiche sensibili e potenziali incitazioni.
Il caso di Chef Rubio rappresenta una delle più recenti manifestazioni delle tensioni che possono nascere tra esponenti pubblici e le istituzioni quando il linguaggio adottato supera determinati limiti. Le autorità giudiziarie hanno il compito di verificare se i contenuti pubblicati possano configurare reati e, in tal caso, intervenire secondo quanto previsto dalla legge, assicurando però che la libertà di espressione venga tutelata nella giusta misura. In questo contesto, la vicenda di Rubini sottolinea l’importanza di riflettere sul ruolo dei social media come piazze pubbliche moderne, dove ogni parola può avere conseguenze reali, soprattutto quando tocca temi internazionali complessi e controversi.