Il suo nome è Rey Brembilla, è in corsa per le amministrative di Bergamo con Fratelli d’Italia, partito di destra che è conosciuto anche per le lotte anti-Islam condotte dai suoi politici in Parlamento. Ebbene, la notizia è abbastanza incredibile: Brembilla, candidato consigliere con la lista Gori, ha affittato un ufficio a un’associazione islamica, che l’ha trasformata in un luogo di preghiere. Una moschea abusiva, in sostanza.
L’ufficio, situato in un palazzo a via San Bernardino a Bergamo, è stata affittata da Brembilla all’associazione Al Madinah, che non avrebbe rivelato al suo affittuario a cosa sarebbe stato destinato l’ufficio, e gli affittuari ne hanno approfittato per allestire una sala di preghiera, andando di fatto contro una normativa regionale, che prevede una specifica autorizzazione per l’apertura di un luogo di culto.
Sono state le segnalazioni dei residenti, che vedevano transitare “una cinquantina di fedeli a settimana” dall’ufficio in via San Bernardino, a far sì che la polizia chiedesse all’autorità giudiziaria di poter intervenire ed effettuare dei controlli. Lo stesso Brembilla, inoltre, aveva già avviato un’azione legale, in quanto i suoi affittuari non avevano rispettato le norme del piano urbanistico. Questo gesto, però, non è servito al candidato di Gori ad evitare un avvio di procedimento penale, per essere stato il locatore delle stanze dove sarebbe stata allestita questa moschea abusiva.
Paradossalmente, era stato Stefano Benigni di Forza Italia a sollevare la questione, presentando un’interpellanza sui centri di culto islamico. La risposta è arrivata dall’assessore del Partito Democratico Sergio Gandi, che ha informato il suo interlocutore e l’intera aula del procedimento sanzionatorio per l’ufficio di via San Bernardino. A cercare di tirare fuori dall’impiccio Brembilla, interviene direttamente il suo avvocato, Marco Gregis, che afferma: “Il Comune continua a tirare in ballo il mio assistito, ma noi siamo sempre rimasti a disposizione. Quando è stato firmato il contratto, Brembilla non poteva sapere le effettive intenzioni dell’associazione, anzi aveva verificato la regolarità del loro statuto“.