Assegno di mantenimento: la Cassazione stabilisce che deve adeguarsi al reddito reale del genitore

La Corte di Cassazione ha deciso che l’assegno di mantenimento va ridotto se il reddito del genitore che lo versa diminuisce, ribadendo il principio di proporzionalità tra capacità economiche e importo dell’assegno.

Assegno di mantenimento: la Cassazione stabilisce che deve adeguarsi al reddito reale del genitore

La Corte di Cassazione ha tracciato una linea chiara e importante riguardo all’assegno di mantenimento per i figli in caso di separazione: se il reddito di un genitore si riduce sensibilmente, anche per scelta lavorativa, l’importo dell’assegno va necessariamente adeguato.

La recente pronuncia riguarda un padre separato, che percepisce uno stipendio netto di circa 1.400 euro al mese ma era obbligato a versare 600 euro mensili di mantenimento alla figlia, oltre a metà delle spese straordinarie. Per i giudici, questa somma risultava sproporzionata rispetto alle reali possibilità economiche dell’uomo e non più sostenibile, segnando così un cambio di rotta significativo per tanti genitori separati in difficoltà economica.

Il caso ha visto protagonista un uomo che, nel corso degli anni, aveva modificato la propria posizione lavorativa entrando come dipendente nell’azienda di famiglia, con una riduzione dello stipendio. Nonostante ciò, il Tribunale di Piacenza e successivamente la Corte d’Appello di Bologna avevano confermato l’assegno originario di 600 euro, sostenendo che le esigenze della figlia, cresciuta nel frattempo, giustificassero la cifra e ritenendo irrilevante il cambiamento nel reddito del padre.

Una decisione che la Cassazione ha invece ribaltato, sottolineando il principio fondamentale della proporzionalità tra capacità economica dei genitori e importo dell’assegno. Questa sentenza ha riacceso il dibattito sul tema della sostenibilità economica per i genitori separati, spesso messi in difficoltà da assegni di mantenimento calcolati su redditi passati o non più corrispondenti alla realtà attuale.

Matteo, un operaio metalmeccanico di Padova, racconta al Messaggero come con uno stipendio di 1.700 euro al mese si trovi a dover affrontare un mutuo, un assegno di mantenimento e spese quotidiane che gli lasciano appena 300 euro per vivere. Situazioni come queste mettono in evidenza l’esigenza di un sistema più equo, che non pregiudichi la qualità della vita di nessuno dei genitori, ma che garantisca comunque il benessere dei figli.

Il principio ribadito dalla Cassazione si fonda sull’articolo 337 ter del Codice civile, che stabilisce come ciascun genitore debba contribuire al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito attuale. La decisione apre la strada a un riesame obbligatorio degli assegni in caso di variazioni significative delle condizioni economiche, anche se derivanti da una scelta lavorativa del genitore. Gli Ermellini hanno chiarito che l’assegno non deve essere una forma di punizione né un importo fisso e immutabile, ma un contributo giusto e sostenibile, adeguato alle reali capacità finanziarie di entrambi i genitori.

La sentenza rappresenta un importante precedente per le corti d’appello chiamate a ricalcolare l’assegno di mantenimento, dove ora sarà necessario un esame più attento e aggiornato della situazione economica di chi versa il contributo. In questo modo si tutela non solo il diritto dei figli a un sostegno adeguato, ma anche la dignità economica del genitore che contribuisce, evitando imposizioni che possano risultare insostenibili e compromettere la sua stabilità finanziaria. 

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