Aperto al pubblico il bunker in cui la mafia uccise il piccolo Giuseppe Di Matteo

Ieri è stato riaperto al pubblico il bunker in cui la mafia, l'11 gennaio 1996, uccise il piccolo Giuseppe Di Matteo per poi scioglierlo nell'acido. Era figlio di un pentito che aveva deciso di collaborare con la giustizia.

Aperto al pubblico il bunker in cui la mafia uccise il piccolo Giuseppe Di Matteo

Siamo a San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo. E’ qui che, in un sotterraneo di una vecchia casa di campagna, per 779 giorni, è stato tenuto segregato in un bunker della mafia il piccolo Giuseppe Di Matteo, prima di essere strangolato e sciolto nell’acido.

La prigione, ormai bene confiscato ai Brusca, diventata il Giardino della Memoria, ieri, in occasione dei 25 anni dall’omicidio efferato del ragazzino, è stata riaperta al pubblico, per la prima volta, in ricordo del piccolo martire della mafia. 

Parliamo di un luogo in cui si può percepire la violenza della mafia: un lettino arruginito, un posto senza una finestra, senza luce e senza porta. Ad entrarci, per la prima volta, il fratello del piccolo Giuseppe Di Matteo, Nicola Di Matteo, che, prendendo la parola alla fine dell’incontro organizzato nel salone della parrocchia di Altofonte, a pochi passi da Palermo, ha detto: “Immaginate cosa ha significato perdere un fratello per mezzo di certa gente che si definisce mafiosa”.

La storia di Giuseppe di Matteo

Nicola ha proseguito: “Un dolore che nessuno può descrivere. Io stesso in 25 anni non sono riuscito ad andare sul luogo del suo martirio, ma solamente qualche giorno prima di Natale. E vedere il casolare di campagna è stato come tornare indietro di 25 anni e all’orrore di quei giorni”.

Ma qual è la storia del povero martire della mafia, morto per mano dei mafiosi guidati da Giovanni Brusca l’11 gennaio 1996? Figlio di Santino Di Matteo, boss poi pentito, il piccolo fu tenuto prigioniero per 3 anni. Prelevato il pomeriggio del 23 novembre 1993 da un maneggio di Villabate, il ragazzino fu portato via da un commando di mafiosi, camuffati da agenti della Dia, che lo convinsero a salire in auto, raccontandogli che avrebbero dovuto portarlo da padre.

Brusca, la sera dell’11 gennaio 1996, apprese dalla tv che era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Ignazio Salvo e reagì, ordinando l’omicidio del piccolo Giuseppe, tenuto legato a una catena, ridotto ad una larva umana. Enzo Chiodo e Enzo Brusca, fratello di Giovanni, lo strangolarono, disciogliendo il corpo del piccolo Giuseppe nell’acido. 

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