Qualche giorno fa, sul quotidiano spagnolo El Mundo si leggeva “Esistono due Italie. L’Italia dei disgraziati che si approfittano del dolore della gente dopo un terremoto per entrare nelle case e rubare quel poco che si è salvato dopo la tragedia. Ma anche l’Italia della gente che davanti alla disgrazia non ha esitato a correre per cercare di dare una mano”. E tra queste persone ci sono anche Giuseppe Bibi e una trentina di motociclisti che a bordo delle loro moto tentano di raggiungere gli angoli più inaccessibili, i paesi più isolati e aiutano i sopravvissuti al terremoto del 24 agosto scorso che ha posto fine alla vita di oltre 290 persone.
Bibi ha 70 anni, è un ex conducente di autobus di Perugia e da 40 anni si sposta per l’Italia con la sua moto da enduro quando si verifica una catastrofe. Nessuno più di lui conosce le viuzze strette, i paeselli dispersi tra le montagne degli Appennini centrali e sa quanto sia difficile muoversi dopo un terremoto.
Bibi e i suoi compagni, tra i 20 e 30 anni provenienti da Roma, Napoli, Firenze, aiutano l’Esercito o la Guardia Forestale a trovare percorsi alternativi per far arrivare medicine, acqua, coperte alle persone che sono rimaste isolate o non hanno voluto abbandonare la loro casa. Arrivano dove i mezzi dei servizi di emergenza non riescono a giungere.
Ma di certo non improvvisano: è dal 2002 che lavorano fianco a fianco della Protezione Civile grazie ad un’associazione di volontariato formata da appassionati di motocross di Cerveteri, vicino Roma. Nella zona del disastro li hanno soprannominati “gli angeli delle due ruote”, perchè arrivano in punti dove nessun altra squadra di soccorso è capace di accedere.
“Le moto sono impareggiabili, per questo bisogna metterle al servizio di una buona causa”, afferma uno dei motociclisti. Insieme hanno partecipato a diverse operazioni di aiuto, compresa quella dopo il terremoto dell’Aquila.