Alessia Pifferi in aula: "Picchiata nella struttura, mi chiamano mostro. A 10 anni subii un abuso"

Alessia Pifferi è sotto processo a Milano, accusata di reato volontario aggravato per il decesso della figlia Diana di 18 mesi, lasciata sola in casa per sei giorni. Pifferi sostiene di non aver mai voluto far del male a sua figlia.

Alessia Pifferi in aula: "Picchiata nella struttura, mi chiamano mostro. A 10 anni subii un abuso"

Il processo contro Alessia Pifferi, accusata di aver causato il decesso della propria figlia Diana, di soli 18 mesi, per abbandono, entra nelle sue fasi conclusive. Durante l’udienza più recente presso la Corte d’Assise di Milano, la Pifferi ha mantenuto la sua innocenza riguardo le intenzioni, dichiarando di non aver mai voluto far del male alla figlia.

Davanti ai giudici, Pifferi ha rivelato di essere stata oggetto di vessazioni fisiche e verbali anche all’interno del penitenziario di San Vittore, dove è stata ripetutamente chiamata “assassina” e “mostro” dalle altre detenute. Inoltre, ha condiviso dettagli molto pesanti di abusi subiti durante la sua infanzia, cercando di dipingere un quadro complesso della sua situazione personale e psicologica.

La difesa ha tentato, senza successo, di ottenere una seconda perizia psichiatrica per evidenziare le presunte limitazioni cognitive di Pifferi, presentando documenti che attesterebbero problemi psichici sin dalla giovinezza. Tuttavia, la richiesta è stata respinta dai giudici, i quali hanno sottolineato la necessità di giudicare l’imputata basandosi sulle sue condizioni attuali.

Il pubblico ministero, Francesco De Tommasi, ha sottolineato la gravità delle azioni di Pifferi, che avrebbero condotto al decesso di Diana, lasciata sola in casa per sei giorni senza cibo né assistenza adeguata. De Tommasi ha descritto il periodo di sofferenze “atroci” subite dalla bambina, definendo i giorni trascorsi senza aiuto come “un’agonia lunga un’eternità“.

Durante le sue dichiarazioni spontanee, Alessia Pifferi ha insistito sulla sua incapacità di comprendere pienamente le conseguenze delle sue azioni, attribuendo parte della responsabilità alle sue condizioni psichiche e alle difficoltà affrontate nel corso della vita, incluse le relazioni abusive e una povertà estrema.

Nonostante ciò, l’accusa ha rimarcato come Pifferi avesse alternative e supporti a disposizione che avrebbe potuto utilizzare per prevenire la situazione, ma che ha scelto di non fare. Ora, con la requisitoria conclusa, il processo si avvia verso le battute finali, con la comunità e l’opinione pubblica che attendono con trepidazione il verdetto finale, mentre le implicazioni di questo caso continuano a sollevare interrogativi profondi su temi di responsabilità e supporto sociale.

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