Aisha Romano in difesa dei bambini palestinesi

Silvia Romano, oggi Aisha, ex cooperante milanese convertitasi all'Islam dopo il rapimento in Kenya nel 2018, scende in campo in favore dei bambini palestinesi, attaccando il governo israeliano di essere il carnefice.

Aisha Romano in difesa dei bambini palestinesi

Silvia Romano, ex cooperante milanese convertitasi all’Islam dopo il rapimento in Kenya nel 2018, scende in campo e divide nuovamente l’opinione pubblica con il suo intervento a favore dei soli bambini palestinesi, definendoli vittime, e attaccando il governo israeliano di essere il carnefice.

“Ogni bambino è innocente, indipendentemente dalla sua origine, e perciò merita di vivere in libertà” si legge nell’articolo pubblicato sul sito web La luce: “I bambini palestinesi hanno il diritto alla loro sacrosanta libertà: la libertà di vivere un’infanzia serena, senza incorrere nel terrore e nella violenza delle forze occupanti”.

La Romano ha mostrato una spiccata sensibilità verso le campagne portate avanti dalle organizzazioni non governative, come il centro per i diritti umani Al Mezan, la quale ha messo in evidenza le 91 testimonianze relative alle torture e agli abusi sui bambini palestinesi che cercavano di superare la Striscia di Gaza, probabilmente indossando un giubbotto carico di esplosivo, dopo l’indottrinamento sulla morte da martiri da parte degli adulti.

Ma la stessa Al Mezan, attenta alla raccolta dei contributi delle istituzioni europee e internazionali, sorvola sul tema del terrorismo perpetrato nei confronti del popolo israeliano, così come l’ex volontaria milanese dimentica le centinaia e centinaia di bambini israeliani uccisi dai missili palestinesi, provenienti da quel fazzoletto di terra recintato dal filo spinato e controllato dalle milizie.

La donna italiana che oggi si chiama Aisha, moglie di un amico d’infanzia convertitosi anche lui all’Islam, rievoca nel nome la sposa-bambina del profeta Maometto, portata all’altare dal cinquantenne quando la piccola aveva solo 6 anni costretta a consumare il matrimonio al compimento dei 9 anni, diventando nel 620 la seconda moglie del fondatore dell’Islam. Silvia Romano, lettrice del Corano durante la prigionia, ha immediatamente provocato scalpore con addosso il jilbab in Italia, il tipico abito islamico e il velo sul capo, considerato da lei stessa un simbolo di libertà e di onore femminile, rispetto ai canoni estetici del mondo occidentale che impone alle donne l’ostentazione delle curve del corpo nudo.

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