Abruzzo, sette salme senza identità: tre i corpi “invisibili” ritrovati a Pescara

A restituire l’ampiezza di un fenomeno spesso ignorato è il recente report del Commissario straordinario per le persone scomparse, che fotografa una realtà silenziosa ma bruttissima.

Abruzzo, sette salme senza identità: tre i corpi “invisibili” ritrovati a Pescara

È un dato che scuote le coscienze e apre uno squarcio su una realtà spesso ignorata, quello che emerge dall’ultimo report del Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse. Al 30 aprile 2025, in Italia si contano ben 1.108 salme ritrovati ma mai identificati, sepolti a spese degli enti locali nelle nove regioni che, ad oggi, hanno sottoscritto il protocollo d’intesa nazionale per la gestione e il riconoscimento delle persone decedute senza identità.

Tra queste regioni figura anche l’Abruzzo, una delle prime ad aderire al piano operativo. Qui, in poco tempo, sono stati scoperti sette corpi senza nome: tre nel territorio di Pescara, tre nella provincia di Chieti e uno in quella di Teramo. Un numero che potrebbe sembrare contenuto, ma che rappresenta sette vite interrotte nel silenzio, sette storie che nessuno ha ancora saputo o potuto raccontare. Nonostante l’impegno delle autorità locali, soltanto tre di questi casi sono stati inseriti nella banca dati nazionale del DNA, strumento fondamentale per cercare un’identità attraverso l’incrocio con i profili genetici delle persone scomparse.

Quattro corpi presentavano segni particolari, potenzialmente utili al riconoscimento, e in tre circostanze sono stati rinvenuti anche effetti personali, ma nessun documento in grado di svelare un nome, una provenienza, un passato. I dati, resi noti dalla Commissaria Maria Luisa Pellizzari in collaborazione con l’agenzia Adnkronos, rivelano un quadro inquietante: una “geografia dell’abbandono” fatta di corpi senza identità, spesso recuperati in contesti di estrema marginalità lungo i binari ferroviari, in aree boschive, nei pressi dei fiumi, dentro baracche, fabbricati dismessi o ospedali. Luoghi dove la vita si spegne nell’indifferenza, e dove la morte rischia di essere l’ultimo oblio. Il protocollo d’intesa, già adottato da Abruzzo, Lazio, Lombardia, Puglia, Toscana, Liguria, Sardegna, Basilicata e Molise, mira proprio a contrastare questa invisibilità.

L’obiettivo è quello di standardizzare le procedure post-mortem, affinché ogni corpo venga esaminato, catalogato e inserito nel circuito nazionale del DNA, dove i campioni biologici possono essere confrontati con quelli delle famiglie in cerca di una verità. Le regioni più colpite sono il Lazio, con 269 salme non identificati (251 solo nella Capitale), la Lombardia con 180 casi (di cui 101 a Milano), e la Puglia, dove tra i 65 corpi senza nome spiccano le vittime dei naufragi o degli sbarchi lungo le coste. In Toscana si registrano 52 casi, in Liguria 41, in Sardegna 38, in Basilicata 2 e in Molise 1.

In molti di questi casi, purtroppo, non è stato possibile effettuare il prelievo del DNA per mancanza di risorse o per condizioni compromesse del corpo. In altri, nonostante l’analisi genetica, non sono emerse corrispondenze con le banche dati esistenti. A volte, nemmeno la presenza di effetti personali o segni particolari riesce a risalire all’identità di chi è scomparso nel nulla. Eppure, dietro ogni numero si nasconde una persona: un padre, una madre, un figlio, un amico. E dietro ogni persona c’è una famiglia che forse, da anni, cerca risposte. Per loro, per chi non ha potuto dire addio, per chi non ha mai avuto la possibilità di piangere sulla tomba di un caro, il lavoro delle istituzioni non è solo tecnico, ma profondamente umano e civile.

Il protocollo, quindi, non è solo una procedura amministrativa. È un atto di giustizia, un gesto di pietà pubblica, un impegno etico. Serve a ridare dignità a chi è deceduto nell’anonimato e a colmare quel vuoto sospeso tra il dolore e l’attesa, tra la speranza e la verità. Perché nessuno dovrebbe essere dimenticato. Nemmeno nel decesso.

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