A 8 mesi dalla scomparsa di Sara Pedri, parla la sorella Emanuela: “Il suo corpo è in fondo al lago, non dovevo lasciarla”

Dallo scorso 4 marzo, ogni 4 del mese per la famiglia Pedri si rinnova un grandissimo dolore. Sono passati ormai otto lunghi mesi da quando Sara Pedri, ginecologa 31enne originaria di Forlì, è scomparsa senza lasciare traccia.

A 8 mesi dalla scomparsa di Sara Pedri, parla la sorella Emanuela: “Il suo corpo è in fondo al lago, non dovevo lasciarla”

Sono passati otto mesi dalla scomparsa di Sara Pedri, la ginecologa di Forlì di cui non si hanno più notizie dallo scorso 4 marzo.La sorella, intervistata da Corsera, racconta delle ricerche che non si sono mai fermate e che continueranno nel lago di Santa Giustina dove si ipotizza si sarebbe gettata il giorno della scomparsa.

Le ricerche di Sara Pedri non si sono mai realmente fermate ma per Emanuela l’unico posto in cui cercare la sorella è il lago di Santa Giustina dove si sarebbe gettata la mattina del 4 marzo poco dopo aver cercato cercato su Google il ponte nei pressi del quale è stata poi ritrovata la sua auto.

La vicenda

A otto mesi di distanza, siamo convinti che sia arrivata in quel punto dopo una decisione fulminea, per togliersi il male che l’affliggeva“, racconta la sorella Emanuela in un’intervista rilasciata a Corsera in cui prova a mettere insieme i pezzi di una storia iniziata ormai otto mesi fa.

Dopo lo choc iniziale, la denuncia, le ricerche e le tante domande senza risposta, la famiglia di Sara Pedri, la ginecologa di Forlì, scomparsa da Cles la mattina del 4 marzo, ha iniziato a capire, a mettere insieme i pezzi, ad accettare il fatto che forse i carabinieri avessero ragione: non bisognava mettersi sulle tracce di una persona ma di un corpo.

Il giorno prima della sua scomparsa, la ginecologa 30enne, che a settembre aveva vinto un concorso che avrebbe dovuto portarla a lavorare all’ospedale di Cles ma che invece l’aveva fatta piombare nel clima di terrore dell’ospedale Santa Chiara di Trento, aveva presentato le dimissioni: dopo mesi in cui aveva vissuto, come raccontato alle amiche, al fidanzato e ai parenti mobbing e pressioni psicologiche, umiliazioni sul posto di lavoro e aver affrontato turni massacranti, aveva deciso di dire basta.

Forse troppo tardi. Perché Sara intanto si era ammalata, come racconta la sorella Emanuela: “Sara si era ammalata e ha pensato di liberarsi con un gesto estremo dal male che l’affliggeva. Non vedeva l’ora di togliersi quel malessere che la portava ad abbracciarsi lo stomaco e a scostare il colletto della camicia come se volesse uscire da una gabbia”.

Oggi per la sua scomparsa sono indagati dalla Procura di Trento, Saverio Tateo, ex primario del reparto di ginecologia e ostetricia dell’ospedale di Trento, che sarà ora licenziato dall’azienda sanitaria e la sua ex vice Liliana Mereu. A combattere in ricordo della sorella e per ottenere giustizia è sempre stata Emanuela che in questi otto mesi non ha mai fatto un passo indietro, pur portando dentro di sé il rimorso di non averla trattenuta quando lo scorso febbraio era tornata a casa: “Avrei potuto fermarla fisicamente e impedirle di tornare in Trentino. Quando a fine febbraio è rientrata a casa per malattia, abbiamo visto tutti il suo malessere – spiega la sorella a Corsera – non l’ho trattenuta a Forlì per paura che smettesse di parlarmi per averla bloccata, o per paura che a casa si deprimesse ancor più. Così come l’ho forzata a tornare a casa per una pausa, avrei dovuto forzarla a rimanere”.

La scelta di licenziarsi avrebbe dovuto alleviare il dolore di Sara, ma ormai tutto era cambiato per lei, anche se era difficile accorgersene: “Col senno di poi, però, ho capito che le parole non servivano a niente in quel momento – conclude la sorella – serviva l’azione, andare a Trento a riprendercela. È di questo che la mia famiglia e le persone vicine a Sara ancora si sentono in colpa. I colleghi, che le erano vicini ogni giorno, hanno visto il malessere ma non hanno agito”.

Intanto i carabinieri di Cles continuano a perlustrare il lago di Santa Giustina quando possibile, i sub si immergono anche fino a 30 metri per tentare di individuare il corpo della ginecologa. “Quando l’acqua si abbasserà di 20 metri, tra febbraio e aprile, dovrebbero affluire camminamenti su cui i cani molecolari potranno tornare ad annusare tracce“, spiega Emanuela che ora vorrebbe solo che il cerchio di questa storia si chiudesse col ritrovamento di Sara.

In molti, da vari ospedali d’Italia ,le scrivono per darle conforto e per ringraziarla perché grazie al suo coraggio hanno trovato la forza di ribellarsi a soprusi e umiliazioni al lavoro. Ormai la battaglia di Sara è diventata universale. Alcune persone hanno trovato la forza di lasciarsi alle spalle la paura e l’omertà per esporsi e tutelarsi.

Continua a leggere su Fidelity News