Una corsa solitaria in treno, a soli sette anni, per raggiungere il centro di Milano e gustarsi un gelato in una gelateria precisa, come fosse una tappa studiata nei minimi dettagli. Non si tratta di una scena da film, ma di quanto accaduto a un bambino del Varesotto, protagonista di un gesto sorprendente tanto per l’età quanto per la lucidità con cui è stato pianificato.
Tutto è iniziato con una “fuga” da casa orchestrata in modo silenzioso e meticoloso: il piccolo si è tolto l’orologio con GPS, ha aperto il cancello in autonomia, ha camminato per circa un chilometro fino alla stazione ferroviaria e, una volta salito sul treno per Milano, si è seduto accanto a una signora anziana fingendo di conoscerla. Una strategia che gli ha permesso di attraversare indisturbato la tratta fino alla stazione Cadorna.
Ad accorgersi della sua presenza, però, è stata la polizia ferroviaria, che l’ha trovato solo e apparentemente tranquillo. Gli agenti, per rassicurarlo, gli hanno detto che la mamma stava per arrivare… con una torta. E quella, infatti, è stata la prima cosa che il bambino ha chiesto alla madre una volta riabbracciata: “Mamma, dov’è la torta?”.
A raccontare quanto accaduto è proprio la mamma, insegnante in una scuola primaria, che descrive il figlio come un bambino “plusdotato”, con una diagnosi tecnica di ADHD con tratti oppositivi. Un profilo raro, spesso difficile da gestire, caratterizzato da una spiccata intelligenza, una grande capacità di osservazione e, allo stesso tempo, comportamenti impulsivi e difficili da inquadrare nei contesti scolastici e sociali tradizionali.
La donna spiega che il figlio ha tratto ispirazione dai viaggi fatti con la famiglia a Milano, dove spesso, dopo un concerto della sorella maggiore al Teatro Dal Verme, il momento del gelato da “Cioccolatitaliani” era diventato una piccola abitudine. Un gesto apparentemente semplice che, nella sua mente, si è trasformato in una vera e propria “missione personale”.
La vicenda ha anche acceso un riflettore sulla difficoltà delle famiglie con bambini neurodivergenti ad accedere a diagnosi e supporti adeguati. Secondo la madre, il sistema pubblico non sarebbe in grado di offrire percorsi realmente efficaci: “Ci siamo rivolti al privato, dove il bambino viene osservato nel quotidiano e non solo attraverso test. È costoso, ma necessario“.
Dopo l’accaduto, sono stati presi piccoli accorgimenti domestici per evitare altri allontanamenti autonomi, come disattivare il cancello elettrico. Tuttavia, il senso profondo della vicenda non sta tanto nella disavventura in sé, quanto nella riflessione più ampia su cosa significhi crescere un bambino con potenzialità fuori scala, ma anche con bisogni educativi speciali che spesso il sistema non riesce a intercettare.