Omicidio Lea Garofalo: la corte di Cassazione conferma le cinque condanne

Lea Garofalo fu uccisa a Milano nel 2009. La corte di Cassazione ha confermato i quattro ergastoli e la condanna a 25 anni per cinque imputati. Tra cui l'ex compagno della vittima Carlo Cosco

Omicidio Lea Garofalo: la corte di Cassazione conferma le cinque condanne

Dopo tanti anni e una battaglia tenace e senza sosta combattuta dalla figlia Denise finalmente sono state emesse le condanne definitive per l’omicidio della testimone di giustizia Lea Garofalo.

Con un’ultima sentenza la Cassazione ha infatti confermato i quattro ergastoli e la condanna a 25 anni riconosciuti ai cinque imputati. Tra loro vi è anche l’ex compagno della donna, Carlo Cosco. Lea Garofalo, testimone di giustizia, fu uccisa a Milano il 24 novembre 2009: i suoi resti sono stati recuperati in un tombino alla periferia di Milano, dopo tre anni, dove era stata gettata dopo essere stata strangolata e bruciata per essersi ribellata all’omertà mafiosa.

Le condanne all’ergastolo, emesse dalla I Sezione Penale della Cassazione, presieduta da Maria Cristina Fiotto, sono state confermate anche per Vito Cosco, fratello di Carlo, Rosario Curcio e Massimo Sabatino. Della vicenda fece parte anche l’ex fidanzato della figlia di Lea, Carmine Venturino, e per lui è stata emessa la condanna definitiva è a 25 anni perché ha avuto uno sconto di pena in base alle dichiarazioni rese. 

La dichiarazione di Venturino permise di chiarire la morte della donna: nel processo di primo grado era stata avanzata l’ipotesi che la donna fosse stata sciolta nell’acido, ma furono le parole di Venturino a chiarire la vicenda, e a confermare che il corpo venne bruciato. Le sue dichiarazioni sono state confermate dall’esame di quel che restava di Lea Garofalo dopo il loro ritrovamento. Gli imputati sono anche stati condannati dalla Cassazione a pagare le spese processuali e a risarcire la figlia di Lea, Denise Cosco, e il Comune di Milano, che si sono costituiti parti civili.

L’omicidio di Lea Garofalo fu un omicidio eseguito con motivazioni mafiose per toglierla di mezzo, una sorta di caso di «lupara bianca» perpetrato verso una donna che aveva scelto una strada diversa da quella mafiosa. La figlia, Denise Cosco, ha commentato così la conclusione di questa storia dal sapore amaro: “Oggi per me spero si chiuda un ciclo della vita e se ne apra un altro”. E la Boldrini, che ha avuto un incontro con la donna, ha detto: “Denise è già un emblema di coraggio e determinazione contro la sopraffazione mafiosa e di genere. Una violenza che, come dimostra questa sentenza, si può combattere e vincere”.

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