Il silenzio in un penitenziario è una cosa relativa, un velo sottile che copre una pressione costante. Dietro le sbarre, lontano dagli occhi esterni, si crea inevitabilmente un mondo parallelo governato da regole proprie, dove l’autorità formale è solo una parte dell’equazione. Queste regole, spesso non scritte, non ammettono eccezioni, e i metodi per farle rispettare sono, se necessario, estremamente diretti. Al centro di questa complessa piramide interna, le indagini di recente conclusione hanno rivelato l’esistenza di una rete ben oliata. Non si trattava solo di piccole infrazioni, ma di un vero e proprio sistema per importare ciò che il mondo esterno proibiva: la merce per evadere mentalmente la reclusione, e lo strumento per restare connessi, i telefoni.
In questo quadro emerge ancora una volta quando si tratta di cronaca il nome del cantante trapper Niko Pandetta, nipote del presunto boss catanese Turi Cappello. La sua posizione, insieme a quella di altre figure, era considerata di rilievo per il funzionamento dell’intero giro illecito. Tuttavia, il sistema non prevedeva sconti. Chi non si adeguava alle richieste o non pagava il dovuto era destinato a subire gravi ritorsioni. Le inchieste hanno documentato la prontezza dei detenuti a ricorrere a violenti pestaggi contro chi osava infrangere l’ordine stabilito. La forza diventava uno strumento di controllo per garantire il flusso degli affari.
Le indagini e gli indagati
Le indagini, che coinvolgono oltre 34 persone a rischio processo, hanno squarciato il velo su un mercato nero interno con quotazioni ben definite. Il listino dei prezzi per le sostanze tra le mura del carcere era stato stilato con estrema precisione, rivelando cifre impensabili per l’economia esterna. Una sigaretta rollata con sostanza, in gergo di reclusione, veniva scambiata con l’equivalente di tre pacchetti di sigarette, con un valore monetario stimato di circa 20 euro.I costi salivano vertiginosamente per le sostanze più dure. Un solo grammo di hashish poteva arrivare a toccare i 100-150 euro.
Per un grammo di cocaina, invece, la tariffa balzava fino alla cifra record di 500-600 euro.In altri casi ricostruiti, due rollate costavano fino a 20-30 confezioni di tabacco, una moneta di scambio preziosissima all’interno della reclusione. Il commercio non si limitava però alle sostanze stupefacenti. Per introdurre un cellulare, la merce forse più ambita in assoluto per mantenere i contatti, il prezzo richiesto era di 500 euro.
Questi numeri si traducevano in guadagni rapidi e ingenti: si stima che alcuni membri del giro siano riusciti a incassare fino a 15.000 euro in sole sei settimane di attività. L’inchiesta non solo conferma la presenza di Pandetta nel circolo degli indagati, ma disegna il quadro di un sistema di potere parallelo, dove la forza era il mezzo per garantire che il business, e i relativi profitti, non si fermassero mai. Alcuni agenti della Polizia Penitenziaria sono già finiti sotto indagine per la situazione in questione.
Gli altri 34 indagati, oltre a Pandetta, sono lfredo Abbate, Alessio Alario, Francesco Bertolino, Claudio Caruso, Salvatore Castiglione, Denise Cataldo, Francesco Cerniglia, Andrea Gianluca Cintura, Salvatore Paolo Cintura, Eugenio D’Alleo, Giovanna Di Fatta, Salvatore Di Giovanni, Daniele Di Napoli, Alex Di Vita, Marco Ercoleo, Luigi Falzone detto “Alessandro”, Orazio Fuselli, Paolo Giacalone, Emanuele Lanza, Antonino Lo Nigro, Nunzio Piccolo, Fabio Machì, Antonino Manzo, Roberto Mendolia, Riccardo Orlando, Salvatore Puleo detto “il nano”, Vincenzo Ragusa, Angelo Sciolino, Alessandro Tutone, Roberto Ventimiglia, Deborah Ventimiglia, Vincenzo Vinci, Ivan Zuccarà e Carlo Zammito. A tutti loro incluso Pandetta in queste ore le forze dell’ordine hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini.