Una vicenda complessa emersa nelle ultime ore sta attirando grande attenzione ad Arezzo, dove una donna è finita in terapia intensiva durante un intervento di trapianto di capelli effettuato all’interno di uno studio medico privato. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, l’operazione sarebbe stata eseguita da una professionista sudamericana priva dei titoli necessari per esercitare in Italia, mentre il medico titolare dello studio avrebbe fornito la copertura formale all’attività.
La paziente, trasferita in condizioni estremamente delicate all’ospedale San Donato di Arezzo, è rimasta in coma per diversi giorni prima di essere stabilizzata. La Procura ha ora chiuso le indagini e si prepara a delineare il percorso giudiziario del caso, che si annuncia particolarmente articolato. Il fatto risale a circa sei mesi fa, ma soltanto adesso è stato reso pubblico a seguito del deposito dell’avviso di chiusura indagini da parte del pubblico ministero Julia Maggiore.
La paziente, reduce da un precedente percorso chirurgico finalizzato alla transizione, desiderava ottenere una capigliatura più folta e femminile. Convinta di rivolgersi a uno studio specializzato e in regola, aveva scelto una struttura in via Montefalco, nel quartiere Bisaccioni, a pochi passi dal centro storico. Solo in seguito avrebbe scoperto che la persona che le aveva messo le mani sul cuoio capelluto non possedeva l’abilitazione italiana all’esercizio della professione.
Durante l’anestesia preliminare, qualcosa cambia repentinamente. La donna avverte un malessere sempre più intenso fino a perdere conoscenza. A quel punto dallo studio parte una richiesta urgente di soccorso, con il trasferimento immediato al San Donato, dove i medici individuano una grave infezione che richiede un trattamento rapido e approfondito. Le prime dichiarazioni raccolte dagli operatori sanitari e dai soccorritori chiariscono in breve tempo che a intervenire non era stato il medico titolare dello studio, ma la professionista sudamericana, in possesso di una laurea conseguita all’estero ma non riconosciuta in Italia.
La conferma arriva successivamente anche dalla paziente stessa, che inizialmente ricorda molto poco di quanto avvenuto e che solo col tempo recupera memoria e lucidità sul contesto dell’intervento. Agli investigatori della squadra mobile, diretti da Davide Comito, non sfugge il quadro che si delinea.
La donna operava con continuità, utilizzando una stanza dello studio e presentandosi come specialista del settore, mentre l’attività veniva ampiamente promossa attraverso i social. Le verifiche successive fanno emergere almeno una decina di interventi analoghi, non semplici trattamenti estetici ma vere e proprie procedure di microchirurgia. I pazienti ascoltati dagli inquirenti riferiscono di essere stati convinti della piena regolarità dello studio e delle competenze della professionista, anche grazie al prezzo, intorno ai 1.500 euro, decisamente più basso rispetto ai centri autorizzati, dove le cifre richieste risultano solitamente più elevate (pressocchè del doppio).
Il quadro probatorio raccolto dalla Procura evidenzia come il medico titolare, ormai vicino alla pensione, fosse consapevole dell’attività che si svolgeva nel suo studio, tanto da accogliere inizialmente la responsabilità dell’intervento. Ma gli elementi acquisiti nelle indagini, compresi i racconti dei soccorritori e delle persone che avevano frequentato quello studio, hanno delineato una realtà ben diversa, portando il giudice a disporre il sequestro dei locali.