Nel cuore di Roma, dove ogni pietra racconta una civiltà e il passato è un peso silenzioso, quel giorno l’aria si è fatta improvvisamente densa. Non è stato il fragore di un terremoto o il boato di una deflgrazione, ma il suono rauco e assurdo di qualcosa di inevitabile che si stava spezzando.
Il respiro millenario della storia, per un istante, si è interrotto.Si è trattato del cedimento, seppur parziale, della storica Torre dei Conti, un’icona del centro cittadino che da secoli dominava la scena urbana. All’improvviso, il velo di normale gestione quotidiana della Capitale è stato strappato via. Il danno al patrimonio è stato immediato, lo sgomento per la comunità e la cultura ancora più profondo. Si è aperto un dibattito teso, immediato, sull’origine di un colpo così visibile nel tessuto urbano. Tra il fumo della caduta e le prime, confuse perizie, una voce autorevole si è alzata per rompere il silenzio, una voce di chi la storia la studia da una vita e non ammette scuse.
L’archeologo Andrea Carandini ha messo in chiaro che l’evento non è frutto di sinistri vari o datazione dei materiali. Secondo il suo giudizio, le cause affondano le radici in un campo specifico, un difetto preciso nella catena di custodia del bene. Le sue parole sono state pietre lanciate contro una gestione, secondo lui, totalmente insufficiente. Carandini ha sostenuto, senza mezzi termini, che ci sono “evidenti segni di incompetenza tecnica”.
La risposta di Carandini, autorevole e tagliente, non ha lasciato spazio a interpretazioni: la responsabilità per quanto accaduto alla Torre dei Conti ricade su chi aveva il dovere di tutelarla. L’archeologo, infatti, ha puntato il dito direttamente contro la Soprintendenza del Comune di Roma, identificandola come l’ente che agiva da soggetto attuatore dell’intero progetto di restauro. Al centro della polemica non c’è soltanto la superficialità, ma anche la gestione delle risorse economiche vitali per il recupero del patrimonio italiano.
L’intervento, ha chiarito Carandini, era finanziato con i cruciali fondi del Pnrr. È proprio in questo snodo cruciale che risiede, per l’esperto, la vera mancanza professionale che ha portato al cedimento. La natura stessa della torre imponeva un approccio specifico che sarebbe stato ignorato. Il suo ragionamento è netto e privo di sfumature: trattandosi di un bene dalla struttura così “fragile”, si sarebbe dovuto procedere con la massima cautela, adottando solo “interventi minimi”.
Di fronte al crollo e all’accusa pubblica di “incompetenza tecnica” lanciata da un’autorità come Carandini, la Sovrintendenza è ora chiamata a fornire una spiegazione concreta su come sono stati spesi i fondi e sulle procedure adottate per preservare uno dei simboli più antichi di Roma.