Secondo quanto riportato da La Stampa, la Corte d’Appello di Torino ha ribadito la gravità delle azioni di Emanuele Minardi, descritte come “insidiose e pervicaci”. Dalle motivazioni emerge un quadro preciso: l’ex docente avrebbe mostrato un atteggiamento invadente e insistente, volto a instaurare rapporti ambigui con alcune alunne dei primi anni di liceo, considerate più fragili per età e inesperienza.
Le testimonianze raccolte indicano che diverse ragazze avevano iniziato a evitare i suoi approcci, trovandosi a disagio di fronte al tono dei messaggi ricevuti. I giudici hanno rimarcato come Minardi, approfittando del suo ruolo di educatore, avesse oltrepassato i confini del rispetto e della professionalità richiesti a chi opera in un contesto scolastico.
Le indagini, coordinate dalla Procura e supportate dai carabinieri, hanno permesso di acquisire conversazioni che costituiscono uno dei punti più rilevanti dell’intero procedimento. Come riportato da La Stampa e Ansa, in alcune chat l’ex insegnante avrebbe utilizzato espressioni ambigue e riferimenti di natura allusiva, giudicati dai magistrati “incompatibili con il ruolo di educatore”.
In un messaggio, arrivò perfino a citare frasi come “ricordate le pornostar”, giudicate “gravemente inopportune” dal collegio giudicante. Il sequestro del telefono ha portato alla luce numerosi messaggi di tono simile, delineando una condotta reiterata e non episodica. Le ragazze coinvolte, in un primo momento, non avevano trovato il coraggio di confidarsi con i genitori o con la dirigenza scolastica, temendo conseguenze o di non essere prese sul serio.
La sentenza di condanna, emessa nel giugno scorso e ora confermata in appello, ha stabilito una pena pari a un anno, sette mesi e 15 giorni di reclusione, oltre alla sospensione dall’insegnamento. La Corte ha riconosciuto come i comportamenti dell’ex docente abbiano generato conseguenze psicologiche di rilievo sulle studentesse e compromesso la fiducia necessaria tra insegnante e alunni. L’avvocato difensore di Minardi ha annunciato la volontà di ricorrere ulteriormente, ribadendo l’innocenza del suo assistito, ma i giudici hanno ritenuto le prove – tra cui chat, testimonianze e perizie – coerenti e sufficientemente solide da confermare la condanna.