Mimmo Lucano non è più sindaco di Riace. Lo ha stabilito il Tribunale civile di Locri, che ha accolto il ricorso presentato dalla prefettura di Reggio Calabria applicando la Legge Severino. Il provvedimento arriva dopo la condanna definitiva a 18 mesi di reclusione, con pena sospesa, per falso in atto pubblico nell’ambito del processo “Xenia” sulla gestione dell’accoglienza dei migranti nel borgo calabrese.
La pronuncia dei giudici, depositata il 1° luglio 2025, segna un nuovo capitolo in una vicenda che da anni divide l’opinione pubblica. Il Consiglio comunale di Riace, a maggioranza, aveva rifiutato di prendere atto della decadenza, ma la Prefettura ha proseguito l’azione legale fino alla sentenza odierna. Lucano, oggi europarlamentare eletto con la lista Alleanza Verdi e Sinistra, ha già annunciato l’intenzione di ricorrere in appello, sostenendo che la Legge Severino non sarebbe applicabile al suo caso.
In un commento affidato ai social, ha dichiarato: «Me l’aspettavo. Il mio è stato un tentativo umano di proporre un’alternativa al racconto della paura. Presenteremo appello perché crediamo nell’ingiustizia di questa decisione». Le reazioni non si sono fatte attendere.
Dal centrodestra, il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri ha parlato di «giustizia che fa il suo corso» e di «una figura celebrata a sproposito». Critiche pesanti sono state rivolte anche a chi, negli anni passati, ha sostenuto Lucano pubblicamente, compresi media e produzioni televisive. All’opposto, i leader di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, hanno espresso solidarietà al loro europarlamentare. In una nota congiunta, hanno denunciato la disparità di trattamento tra Lucano e altri esponenti politici condannati che continuano a ricoprire incarichi istituzionali.
Anche il Partito Democratico, con Sandro Ruotolo e Pierfrancesco Majorino, ha manifestato rammarico per la sentenza, ricordando il ruolo simbolico che Lucano ha avuto nel dibattito sull’accoglienza e sulla rinascita dei piccoli borghi. La vicenda, al di là del merito giuridico, riapre la riflessione sul valore delle esperienze locali di integrazione e sulla coerenza delle norme che regolano l’eleggibilità degli amministratori. Mentre il caso si prepara a nuovi gradi di giudizio, la figura di Mimmo Lucano continua a polarizzare, diventando per alcuni un simbolo da difendere e per altri un esempio di gestione opaca da superare.