Il mistero dello scatolone sull’A22 risolto dopo 17 anni: identificato il corpo di Mustafa Sahin

Dopo 17 anni di mistero è stato identificato il corpo privo di testa rinvenuto in uno scatolone sull’A22: si trattava di Mustafa Sahin, giovane tunisino scomparso in Germania e successivamente lasciato al confine italiano dal suocero.

Il mistero dello scatolone sull’A22 risolto dopo 17 anni: identificato il corpo di Mustafa Sahin

Dopo quasi diciassette anni di silenzio, uno dei casi più inquietanti legati all’autostrada del Brennero ha finalmente trovato una risposta. Era il 21 febbraio 2008 quando, nei pressi dell’A22, venne rinvenuto uno scatolone contenente il corpo senza vita di un giovane, privo di documenti e di una chiara identità.

Per anni, le indagini condotte sia in Italia che in Germania non riuscirono a chiarire chi fosse quel ragazzo né cosa gli fosse accaduto. Ora, grazie a una collaborazione internazionale tra le autorità dei due Paesi, è stato ufficialmente accertato che si trattava di Mustafa Sahin, un ventenne nato in Tunisia e cresciuto in Germania.

L’indagine ha avuto una svolta cruciale nel 2019, quando Alfonso Porpora, un cittadino italiano residente in Germania, è stato fermato in relazione a un fatto di sangue avvenuto in un garage a Sontheim an der Brenz. Proprio da quel momento sono emersi collegamenti con due precedenti sparizioni rimaste senza risposta: quella del giovane Sahin nel 2008 e quella di un secondo uomo nel 2014, entrambi legati alla cerchia familiare di Porpora.

Durante gli interrogatori, l’uomo ha ammesso di essere stato coinvolto in entrambe le vicende, fornendo dettagli che hanno permesso agli inquirenti di riaprire e collegare i vari fascicoli rimasti irrisolti per anni. Secondo la ricostruzione ufficiale, Mustafa Sahin sarebbe morto all’interno del garage della casa di Porpora. Successivamente, il corpo venne trasportato oltre confine e abbandonato in territorio italiano.

L’identificazione è avvenuta solo lo scorso anno, quando la polizia tedesca ha trasmesso nuove informazioni alla Procura di Bolzano. Gli investigatori hanno così riesumato i reperti fotografici dell’epoca e li hanno mostrati ai familiari del ragazzo. La moglie – figlia di Porpora – ha riconosciuto alcuni dettagli delle mani del giovane, elemento confermato poi dal test del DNA. La storia colpisce non solo per la sua crudezza, ma anche per il lungo oblio in cui era precipitata.

Porpora, originario di Enna e già condannato alla detenzione a vita per altre vicende, è stato anche coinvolto in un procedimento che ha portato alla condanna dei suoi due figli, ritenuti corresponsabili in alcuni episodi. Nonostante le molteplici ammissioni, non è mai stata fornita una motivazione chiara: tra le ipotesi al vaglio degli inquirenti vi sono tensioni familiari, desiderio di controllo e possibili contrasti economici.

Nel caso specifico di Sahin, pare che Porpora fosse contrario alla relazione tra sua figlia e il giovane tunisino, al punto da costringerlo a formalizzare un’unione attraverso un documento firmato sotto coercizione. La risoluzione del caso rappresenta un esempio importante di cooperazione tra le procure e dimostra quanto siano determinanti le nuove tecnologie investigative per chiudere pagine rimaste aperte troppo a lungo.

Tuttavia, restano ancora ombre: né la testa di Sahin né i resti del secondo compagno della figlia sono mai stati ritrovati. Anche se molte domande non hanno ancora risposta, l’identificazione di Mustafa Sahin consente oggi di restituire un’identità a quel corpo senza nome e, soprattutto, di avviare un processo di elaborazione del dolore per i suoi cari, dopo anni di incertezza e silenzio.

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