Nei meccanismi della democrazia diretta, tra firme, quesiti e urne, si nasconde un dettaglio tutt’altro che trascurabile: i rimborsi pubblici. A beneficiarne, nel caso dei referendum in programma l’8 e 9 giugno 2025, potrebbe essere soprattutto la CGIL. Il sindacato, principale promotore di cinque quesiti referendari, ha puntato con forza sull’iniziativa, non solo per ragioni ideologiche, ma anche per l’interessante ritorno economico previsto dalla normativa vigente.
Se l’affluenza raggiungerà il quorum del 50% più uno degli aventi diritto, nelle casse del sindacato potrebbero arrivare fino a 2,5 milioni di euro. A stabilirlo è una norma chiara, contenuta sul sito del Parlamento italiano: per ogni firma valida raccolta per un referendum dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale, è previsto un rimborso di 1 euro, fino a un massimo di 500.000 euro per quesito, e per un totale non superiore ai 2,5 milioni di euro annui.
Ma questo rimborso viene erogato soltanto se il referendum supera la soglia di validità. In altre parole, solo se almeno la metà più uno degli aventi diritto si reca alle urne. Un modo per evitare sprechi di risorse pubbliche per iniziative prive di reale partecipazione.
La CGIL, consapevole di questo meccanismo, ha investito risorse significative per promuovere i referendum, soprattutto attraverso i social media e campagne informative su larga scala. Questi investimenti, se il quorum verrà raggiunto, saranno rimborsati con fondi pubblici. Non si tratta di un premio o di un guadagno diretto, ma di un indennizzo per le spese sostenute, che però in alcuni casi può trasformarsi in un vero tesoretto.
Va ricordato che il rimborso viene pagato dallo Stato, quindi da tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro posizione sul referendum. Anche chi vota “no”, chi si astiene o chi non ritira la scheda, contribuirà economicamente alla copertura delle spese del comitato promotore, qualora il quorum venga raggiunto. Questo aspetto, seppur regolato dalla legge, solleva alcune domande sull’equità e sulla trasparenza nell’uso delle risorse pubbliche per scopi politico-sindacali.