Lavoro in Puglia: tra precariato, bassi salari e fuga dei giovani, un’emergenza ignorata

Secondo uno studio della Cgil Puglia, oltre la metà dei lavoratori percepisce meno di 1.000 euro al mese, mentre la precarietà colpisce duramente giovani e donne, in una regione dove cresce la povertà e l’emigrazione intellettuale.

Lavoro in Puglia: tra precariato, bassi salari e fuga dei giovani, un’emergenza ignorata

In Puglia la situazione occupazionale resta fortemente critica, come evidenziato da un recente studio condotto dalla Cgil regionale. L’analisi fotografa una realtà lavorativa segnata da precarietà, bassi salari, disoccupazione diffusa e deprivazione sociale. Su circa 500.000 lavoratori attivi, ben il 56,8% percepisce una retribuzione mensile inferiore ai 1.000 euro. Questo dato rappresenta un campanello d’allarme per l’intero sistema economico e sociale della regione, che si confronta con una condizione di fragilità strutturale.

La Puglia si posiziona al secondo posto in Italia per la diffusione dei contratti a tempo determinato, dietro solo alla Basilicata. Un impiego su tre, tra quelli non a tempo indeterminato, risulta essere reiterato da almeno cinque anni, sintomo di una precarietà ormai cronica. A peggiorare il quadro è la durata spesso effimera dei contratti: il 10% dei lavoratori viene impiegato per meno di due mesi, un dato che conferma la scarsa stabilità delle esperienze lavorative.

La regione si piazza anche sesta a livello nazionale per bassa intensità lavorativa, a testimonianza della scarsa durata e della discontinuità degli impieghi. Preoccupante è anche il ricorso al part time involontario, che colpisce il 10% della forza lavoro, con un’incidenza che sale al 17,2% se si considerano soltanto le donne. Questa forma di sottoccupazione spesso non è frutto di scelta, ma di mancanza di alternative adeguate.

A peggiorare ulteriormente la situazione c’è il disallineamento tra istruzione e lavoro: un quarto degli occupati svolge mansioni che non richiedono il titolo di studio posseduto. Questo fenomeno, detto “overeducation“, rappresenta un doppio spreco: da un lato quello del potenziale individuale, dall’altro quello degli investimenti pubblici in formazione. Dal punto di vista sociale, il 33% dei cittadini pugliesi vive in famiglie con redditi al di sotto della soglia di rischio povertà.

Uno su dieci si dichiara povero in modo esplicito. La Puglia è anche seconda, dopo la Calabria, per livello di grave deprivazione materiale e sociale, secondo l’indicatore europeo che valuta l’impossibilità di accedere a beni e servizi considerati essenziali. A livello occupazionale, solo il 55,3% della popolazione in età da lavoro ha un impiego. Di questi, il 70,3% sono uomini e solo il 40,5% donne, con un divario di genere ancora marcato. La disoccupazione raggiunge un tasso altissimo del 44,7%, mentre il 20% della popolazione non lavora e non cerca nemmeno un impiego. La percentuale sale al 28% tra le donne.

Infine, si registra una forte mobilità in uscita tra i giovani laureati: nel 2023 il saldo tra chi si è cancellato e chi si è iscritto per cambio di residenza è stato negativo del 33,2%, con una possibile correlazione allo spopolamento di alcune facoltà universitarie. La fuga dei cervelli pugliesi è un indicatore ulteriore del malessere diffuso, che rischia di compromettere la crescita futura della regione se non verranno messe in campo politiche efficaci e strutturali per invertire la rotta.

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