Il tema delle pensioni continua a occupare un ruolo centrale nel dibattito politico e sociale del Paese, tra urgenze di bilancio, pressioni demografiche e la necessità di garantire un sistema sostenibile ma anche equo. Nelle ultime ore, ha preso corpo un’ipotesi che potrebbe modificare temporaneamente le regole sull’accesso alla pensione: il blocco triennale dell’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, previsto dalla normativa vigente, per il triennio 2026-2028.
L’ipotesi allo studio del Governo
Secondo quanto trapelato da ambienti vicini all’esecutivo, il Governo starebbe valutando seriamente la possibilità di congelare, per tre anni, il meccanismo di adeguamento che lega l’età pensionabile all’aumento della speranza di vita, come rilevata periodicamente dall’Istat. Se approvata, questa misura consentirebbe a chi maturerà i requisiti tra il 2026 e il 2028 di andare in pensione con le regole attuali, senza subire l’aumento automatico dell’età anagrafica o del requisito contributivo. L’intervento andrebbe a toccare due soglie fondamentali: quella per la pensione di vecchiaia, che secondo le proiezioni dovrebbe salire a 67 anni e 3 mesi, e quella per la pensione anticipata, che arriverebbe a 43 anni e un mese di contributi per gli uomini e a 42 anni e un mese per le donne. Entrambe le soglie sono direttamente influenzate dall’incremento della speranza di vita, che secondo il report “Indicatori demografici” dell’Istat, ha raggiunto nel 2024 la media di 83,4 anni, con un aumento di quasi cinque mesi rispetto al 2023.
I motivi politici e sociali della proposta
La scelta di intervenire nasce anche da valutazioni politiche. Il Governo, consapevole delle ricadute sociali che un innalzamento dell’età pensionabile comporterebbe, intende evitare tensioni nel tessuto sociale, soprattutto in vista delle elezioni politiche del 2027. Il tema è infatti molto sentito dall’opinione pubblica, in particolare tra le fasce più anziane della popolazione attiva, già colpite dall’inflazione e da un mercato del lavoro non sempre inclusivo. Tuttavia, molti osservatori sottolineano come un congelamento limitato nel tempo possa rivelarsi una soluzione tampone, non sufficiente a correggere in modo strutturale le fragilità del sistema pensionistico italiano. Senza una riforma organica, che tenga conto sia dell’equilibrio economico sia delle esigenze sociali, il rischio è quello di rimandare le criticità a data da destinarsi.
L’impatto economico: quanto costa fermare l’aumento
Sul fronte economico, la misura ha un costo stimato significativo. Secondo le prime valutazioni, sospendere l’adeguamento automatico per tre anni potrebbe comportare una spesa complessiva superiore al miliardo di euro. Una cifra che si aggiunge a un quadro previdenziale già appesantito: secondo quanto riportato nel Documento di economia e finanza (Def), nel 2027 la spesa per le pensioni supererà i 365 miliardi di euro, quasi 100 miliardi in più rispetto al 2018. A pesare su questo aumento concorrono diversi fattori: le rivalutazioni automatiche degli assegni legate all’inflazione, l’invecchiamento della popolazione, e un allentamento graduale delle rigidità introdotte dalla legge Fornero. La Ragioneria generale dello Stato stima che la spesa previdenziale raggiungerà il 17,1% del Pil entro il 2040, per poi iniziare lentamente a decrescere. Già oggi, tuttavia, si attesta al 15,4% del Pil, ben oltre la media europea, mettendo sotto pressione i conti pubblici.
Il nodo politico: equilibrio tra sostenibilità e consenso
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha ribadito in più occasioni la necessità di evitare misure che, pur popolari nell’immediato, rischiano di compromettere la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico. “Serve responsabilità ha dichiarato e uno sguardo lungo. Non possiamo permetterci di scaricare il peso delle scelte di oggi sulle generazioni future”. Tuttavia, l’urgenza di dare risposte a una popolazione sempre più anziana, unita alla difficoltà di inserire lavoratori giovani e precari in un percorso contributivo stabile, rende il tema politicamente molto sensibile. Un congelamento dell’adeguamento potrebbe rappresentare un compromesso tra rigore finanziario e giustizia sociale, ma solo se inserito in una più ampia revisione della previdenza pubblica, che contempli incentivi all’invecchiamento attivo, flessibilità in uscita e strumenti di tutela per le fasce più deboli.
In attesa delle scelte definitive
Al momento, l’ipotesi resta allo studio dei tecnici del Ministero dell’Economia e del Lavoro. Eventuali novità potrebbero emergere già in vista della prossima legge di bilancio, quando il Governo dovrà fare i conti con le risorse disponibili e con le priorità da finanziare. Nel frattempo, il dibattito resta acceso, con sindacati, associazioni e forze politiche divise tra chi chiede maggiore flessibilità e chi teme un ulteriore aggravio sui conti pubblici. Una cosa è certa: il futuro delle pensioni italiane continua a essere una delle sfide più complesse e decisive per la tenuta del Paese.