Si arricchisce di nuovi elementi l’inchiesta avviata in seguito alla scomparsa di Luca Perazzini, 42 anni, e Cristian Gualdi, 48, i due alpinisti originari di Rimini che hanno perso la vita nel dicembre scorso sul versante aquilano del Gran Sasso. Le rispettive famiglie, ancora profondamente provate dal dolore, hanno presentato in questi giorni un nuovo esposto alla Procura della Repubblica di Teramo, con lo scopo di integrare e rafforzare quanto già depositato nei mesi precedenti.L’intento è chiaro: fare luce sulle dinamiche esatte dell’accaduto, ma soprattutto comprendere se tutte le misure di sicurezza e di soccorso disponibili siano state effettivamente attivate e utilizzate in modo tempestivo ed efficace. In particolare, l’integrazione al fascicolo d’indagine si concentra su un aspetto ritenuto cruciale: la possibile, ma mai attuata, attivazione di un mezzo dell’Aeronautica Militare per raggiungere e recuperare i due escursionisti, bloccati in quota a causa di un improvviso e violento peggioramento delle condizioni meteo.I familiari, assistiti dagli avvocati Francesca Giovannetti e Luca Greco del foro di Rimini, chiedono che venga chiarito se, durante le ore e i giorni concitati delle operazioni di soccorso, siano state percorse tutte le vie possibili per salvare la vita di Luca e Cristian. La richiesta è ora all’attenzione della Procura di Teramo, che già aveva avviato accertamenti preliminari sotto la direzione della Pubblica Ministera Laura Colica. Attualmente non risultano persone iscritte nel registro degli indagati, ma le indagini sono in corso e si stanno intensificando: previste nuove audizioni di testimoni, e l’acquisizione di ulteriore documentazione tecnica e testimoniale.
I punti chiave dell’integrazione: mancato utilizzo di mezzi militari e valutazione della sicurezza
Tra le domande più pressanti che emergono dall’esposto integrativo, vi è quella relativa all’effettiva disponibilità di risorse aeree, civili o militari, in grado di intervenire in condizioni estreme. Perché, si chiedono i familiari, non è stato valutato o disposto l’uso di un elicottero dell’Aeronautica, in dotazione per le missioni di emergenza e recupero in ambiente montano, specie quando le condizioni meteo mettevano a rischio l’incolumità degli alpinisti e limitavano l’azione dei soccorritori civili?Ma non è l’unico punto controverso. L’esposto solleva anche il tema dell’accessibilità alla montagna in quei giorni: le famiglie vogliono sapere se, in quel preciso momento, sussistessero davvero le condizioni per un’escursione sicura o se, al contrario, fossero stati sottovalutati i segnali di allarme meteorologico diffusi dalla Protezione civile. E ancora: erano sufficienti le misure adottate per informare e dissuadere i frequentatori della montagna dal mettersi in cammino in quelle giornate a rischio? C’erano segnalazioni adeguate, cartelli, aggiornamenti affidabili sulle condizioni del tempo e della neve?
I giorni dell’apprensione estrema: cinque notti in quota prima del ritrovamento
I tremendi fatti si sono consumati in un arco di tempo segnato da ansia, speranza e strazio. Era il 22 dicembre quando i due uomini, dopo una caduta in un tratto particolarmente impervio della Valle dell’Inferno, hanno lanciato l’allarme. Nonostante le ricerche siano iniziate rapidamente, il maltempo ha reso impossibile l’avvicinamento, sia da terra che via aerea, per diversi giorni.I corpi dei due alpinisti sono stati individuati soltanto il 27 dicembre, quando una temporanea finestra di miglioramento meteorologico ha permesso l’intervento congiunto di squadre di terra e un sorvolo aereo. La loro posizione, a ridosso del punto in cui era partita la richiesta di aiuto, dimostra che non si erano potuti spostare, probabilmente a causa delle condizioni ambientali e delle ferite riportate. Secondo le prime ricostruzioni, uno dei due forse Perazzini avrebbe perso parte dell’equipaggiamento durante la caduta, esponendosi a un rischio ancora maggiore di ipotermia.Entrambi erano esperti conoscitori della montagna, dotati di attrezzatura adeguata e preparazione tecnica. Perazzini era dipendente della “Nuova Cei” di Santarcangelo, mentre Gualdi era il titolare della “Top Infissi” di Savignano sul Rubicone, azienda specializzata nella produzione di serramenti. La notizia della loro scomparsa ha sconvolto le comunità romagnole e ha lasciato sgomenti anche molti appassionati di alpinismo in tutta Italia.
L’inchiesta continua: si cercano verità e responsabilità
Nel frattempo, i carabinieri incaricati delle indagini hanno già acquisito vari elementi utili: tra questi, i telefoni cellulari dei due alpinisti, che potrebbero contenere informazioni preziose sui movimenti compiuti nelle ore successive all’incidente, sulle eventuali comunicazioni inviate o tentate e, soprattutto, sulle condizioni in cui si trovavano.Le famiglie, nel loro percorso, chiedono semplicemente chiarezza: vogliono capire se si sarebbe potuto fare di più. Se ci sono state mancanze. Se i protocolli di emergenza sono stati seguiti correttamente. E, soprattutto, se questa tragedia poteva essere evitata.In attesa di risposte dalla magistratura, resta il ricordo di due vite spezzate troppo presto, unite da una passione per la montagna che, in quel dicembre crudele, si è trasformata in una trappola. Ma resta anche un appello forte alle istituzioni e agli enti di soccorso: affinché la sicurezza in montagna non venga mai data per scontata e affinché da ogni storia come questa nasca un impegno concreto per evitare che si ripeta.