La procura di Trieste scrive la parola fine sul caso Resinovich. Ma i dubbi sono troppi

Per i magistrati la conoscenza degli spostamenti di Liliana, è irrilevante ai fini dell’indagine. Il criminologo Lavorino: conclusione scialba e ridicola. Rimangono diverse zone d’ombra non chiarite. Il fratello si opporrà all'archiviazione.

La procura di Trieste scrive la parola fine sul caso Resinovich. Ma i dubbi sono troppi

L’epilogo temuto, o forse sperato, sul caso di Liliana Resinovich è arrivato. La procura di Trieste decide di archiviare il fascicolo con l’ipotesi di suicidio, cosa che ha provocato una dura reazione, da parte del fratello di Lily, deciso ad opporsi. I legali di Sebastiano Visintin -il marito- invece concordano con le conclusioni dei magistrati. Sicuramente il caso è complesso e, allo stato attuale, sussistono molte difficoltà a provare un omicidio. Ma la tesi del suicidio sembra essere ancor di più aleatoria. 

Come sappiamo, Liliana Resonovich scompare nel nulla il 14 Dicembre 2021, dopo una conversazione telefonica -così dichiara il marito- con Claudio Sterpin, il presunto amante. Lascia a casa il cellulare e i documenti. Il corpo della donna viene ritrovato nel parco di S.Giovanni -presso l’ex ospedale psichiatrico- venti giorni dopo. È nei sacchi dell’immondizia con una busta di plastica intorno al collo.

Nelle motivazioni, la procura triestina indica l’impossibilità di individuare ora e giorno del decesso e lo considera irrilevante. Eppure ci sono dichiarazioni del medico legale -mai smentite- in merito ad una morte avvenuta non prima di sessanta ore dal ritrovamento. Sapere perché Liliana si è nascosta fino a quel momento non sembra essere cosa di poco conto. Soprattutto visto il luogo del ritrovamento, adiacente a padiglioni ospedalieri dismessi, mai perquisiti. Lilly ci è arrivata da sola o è stata accompagnata da qualcuno?

Gli esiti dell’autopsia psicologica, disposta dai parenti, descrivono una donna curata e nutrita, che ha assunto degli integratori poche ore prima di morire. Elementi piuttosto incompatibili con una persona, presumibilmente depressa, che ha deciso di togliersi la vita. Sarebbe stato utile conoscere i contenuti dell’ultima telefonata -se effettivamente avvenuta- tra lei e Sterpin. La procura avrebbe potuto spiegare come ci si suicida infilandosi un sacchetto della spesa sulla testa, senza arrendersi all’istinto di sopravvivenza quando manca l’aria. Bisognerebbe comprendere anche come sia finita in un sacco dell’immondizia, quando probabilmente era già morta. Tralasciando le dichiarazioni contraddittorie del marito e del presunto amante, gli indizi che indicano una conclusione differente da quella dei magistrati sono consistenti.

Il criminologo Carmelo Lavorino non usa mezzi termini, parlando di “conclusione scialba e leggermente ridicola”. Il criminologo considera inaccettabile il mancato approfondimento su dove e come Liliana abbia trascorso i giorni della sua scomparsa. “Si toglie dal puzzle un pezzo importantissimo”, “Come fanno gli inquirenti ad escludere la segregazione di Liliana ed un’azione lesiva nei suoi confronti?. È un mistero inspiegabile, risolto probabilmente con l’archiviazione…”.

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