È entrata in vigore il 15 settembre 2022 la legge che porta la firma del Ministro dell’Interno ungherese, Sandor Pintar e che impone obbligatoriamente al personale sanitario che si occupa delle interruzioni di gravidanza, di far ascoltare il battito cardiaco fetale alle donne, in modo che “prendano chiaramente atto dell’identificabilità delle funzioni vitali del feto”.
L’aborto fino alla 12ma settimana di gravidanza, in Ungheria è legale sin dal 1953, ma nel 1992 la legge è stata modificata. Nel Paese in questione, infatti, si può abortire in 4 casi:
- quello in cui una donna abbia subito violenza sessuale o in conseguenza di un reato,
- nel caso in cui la salute della stessa sia in pericolo,
- se l’embrione è soggetto a grave handicap fisico e infine,
- se la situazione sociale della donna è insostenbile.
Ciò ci fa capire come accedere all’aborto in Ungheria sia già di per sé un’impresa piuttosto difficile. La decisione di imporre l’ascolto del battito cardiaco del feto alle madri desta non poca preoccupazione nelle associazioni che ogni giorno lottano in difesa dei diritti umani, come Amnesty International, che parla di “preoccupante declino”.
Il portavoce Aron Demeter afferma che si tratta di una decisione presa senza consultazioni, che equivarrà a rendere più complicato l’accesso all’aborto da parte delle donne.
Ulteriore stretta sul diritto all’aborto
Oltre ai 4 requisiti sopramenzionati, necessari per poter accedere all’interruzione di gravidanza, dal 15 settembre 2022 una nuova norma obbliga i medici che si occupano dell’aborto a presentare alle donne la prova “chiaramente identificabile delle funzioni vitali del feto”, ovvero un’ecografia del cuore del feto.
Così il Ministro dell’Interno ungherese Sandor Pinter ha firmato il decreto appena entrato in vigore. Il partito di estrema destra, Mi Hazank, si dice finalmente lieto che “le mamme ora ascolteranno il battito cardiaco fetale”.
Noi lo consideriamo un preoccupante passo indietro rispetto ai diritti delle donne finora faticosamente conquistati.