Avevano scoperto che i loro nomi erano stati incisi sulle croci dei feti sepolti e per questo avevano denunciato gli ospedali responsabili di aver violato la loro privacy. Ma il tribunale di Roma ha archiviato la denuncia presentata dall’associazione Differenza Donna perché il fatto non costituisce dolo, ovvero non c’è stata la volontà degli ospedali di violare la privacy delle puerpete.
È finita così una delle vicende più clamorose della cronaca giudiziaria degli ultimi anni. Una vicenda cominciata nel 2020, quando una donna, visitando il cimitero di Prima Porta a Roma, si era imbattuta nella “lapide” di un feto, notando che sulla croce di legno era riportato il suo nome e il suo cognome senza che lei avesse firmato alcun consenso per questa pratica funeraria.
La questione aveva preso una piega giudiziaria quando altre donne incapparono nella stessa sorpresa: decine di lapidi di feti riportavano i loro nomi sulle croce, quasi a volerle incolpare di essere la responsabili di quelle sepolture. Le mancate madri si rivolsero all’associazione Differenza Donna, denunciando la violazione della loro privacy da parte degli ospedali.
Ricordiamo che, nei casi di aborto spontaneo o di interruzione di gravidanza, la legge consente alle partorienti di decidere per il funerale del feto o di delegare all’ospedale il compito di seppellire l’embrione aggiungendo il nome e il cognome della madre solo se questa dà il suo consenso. Cosa che nel caso di Roma sembra che la cosa non sia avvenuto.
Era così partita la denuncia da parte di Differenza Donna. Ma, dopo due anni dall’episodio, il tribunale di Roma ha archiviato la querela per mancanza di dolo. Una decisione che Differenza Donna non ha gradito per nulla, lamentando il poco riguardo per le donne che si sono trovate in pasto all’opinione pubblica, molti dei quali avevano condannato le puerpete di essersi sbarazzate dei feti senza una motivazione valida, trattandoli come se fossero dei rifiuti da buttar via.
Dal canto suo, Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna, ha commentatto così la sentenza del tribunale: “Come associazione abbiamo denunciato pubblicamente questa pratica, recandoci al cimitero dei feti a Roma richiamando l’attenzione (e l’incredulità) di moltissimi media stranieri. Continueremo ad assistere le donne vittime di questa inaccettabile violenza, coinvolgendo in questa battaglia comune tutta la rete che con noi opera per il contrasto alla violenza: esigiamo sia fatta chiarezza su fatti gravi che violano i diritti e la libertà delle donne”.