Anna Paola G. è una testimone di Geova, volontaria nel carcere femminile di Rebibbia, a Roma. Ha raccontato a un’agenzia media online della sua vita e del suo desiderio di aiutare le persone a liberarsi dai pregiudizi che hanno nei confronti di una religione che attualmente, in Italia, rappresenta la seconda confessione cristiana dopo la Chiesa Cattolica.
Il suo desiderio è quello di convincere le persone che i testimoni di Geova non sono una setta, come pensano molti. Che non si separano dalla società, come fanno quei culti anonimi e incappucciati, che operano alla luce del sole e che, oltretutto, sono riconosciuti legalmente dallo Stato. A far eco alla parole di Anna Paola, è Raffaella Di Marxio, direttrice del Centro Lirec (Centro ricerca religioni e culti), la quale ha affermato che i testimoni di Geova vivono nella società come tutti gli altri: studiano, lavorano, vanno a scuola, entrano in contatto con persone di ogni razza e religione; non sono un gruppo isolato dalla società.
Il Centro Lirec da tempo denuncia come i testimoni di Geova siano dipinti come una setta che si estranea dal mondo e pratica un condizionamento mentale sui fedeli. Una convinzione che, secondo il Centro Lirec, non troverebbe riscontro nella realtà. Anche se una relazione della Commissione Europea sulle sette religiose, datata 1997, definì più volte i testimoni di Geova come setta. Cosa che ha fatto anche la dottoressa Lorita Tinelli, vicepresidente del Cesap (Centro Studi Abusi Psicologici), una onlus che fornisce assistenza alle vittime di controllo mentale e abuso psicologico da parte di sette e gruppi a carattere totalitario.
Secondo la Tinelli, infatti, quando si parla dei testimoni di Geova “si può parlare di setta perché è un gruppo chiuso che vuole estraniarsi del mondo. I Testimoni di Geova vedono le cose attraverso un pensiero dicotomico: bianco/nero, buoni/cattivi. Tutte caratteristiche che possono essere definite settarie. Il termine viene usato per indicare un gruppo che ha caratteristiche di divisione tra quello che sta dentro e quello che c’è fuori”. Caratteristiche che, secondo Tinelli, si applicherebbero ai testimoni di Geova, secondo cui tutto ciò che è buono si trova dentro la loro comunità, mentre tutto ciò che è cattivo si trova nel mondo esterno.
Ma aldilà delle diatribe sull’impronta settaria dei testimoni di Geova, Anna Paola ha scelto di seguire la sua fede dopo lungo percorso di studio in cui tutte le risposte alle sue domande hanno trovato spiegazione. Oggi aiuta anche le detenute recluse nel carcere di Rebibbia a comprendere che Dio non le ha abbandonate, che può contate sul suo perdono e sul suo aiuto, dato che tutti gli esseri umani sono soggetti agli errori. E a chi pensa che una donna che segue il culto dei testimoni di Geova non sia libera, che sia sottoposta a un regime maschilista e patriarcale, Anna Paola risponde che la sua libertà l’ha trovata studiando la Bibbia, diventata una sorta di bussola con cui orientarsi nel mondo, permettendole di distinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. E questo l’avrebbe resa veramente libera.