Ci misuriamo, una volta di più, con la nostra impotenza. Da un anno a questa parte è un sentimento che, per altre vicende, abbiamo imparato a conoscere molto bene. L’impotenza genera frustrazione ma, dal momento che bisogna pur sopravvivere e andare avanti, se la causa è qualcosa che non ci tocca troppo da vicino e dolorosamente, prrima o poi subentra la rassegnazione, l’abitudine e, infine, l’indifferenza.
Del resto cosa potremmo fare noi, semplici cittadini di un occidente opulento e distratto, se i talebani, nel volgere di poche settimane e senza quasi incontrare resistenza, hanno riconquistato Kabul e l’intero Afgahnistan e imposto di nuovo la sharia? Come potremmo aiutare quella parte della società civile afghana che cerca disperatamente una via di scampo temendo a ragione rappresaglie e giustizia sommaria? Come possiamo impedire che le donne e le ragazze vengano di nuovo schiavizzate, costrette ad abbandonare il lavoro e la scuola, a rinchiudersi in casa, a nascondersi sotto il burqa?
I nuovi vincitori si sforzano, almeno davanti ai media internazionali, di dare una immagine rassicurante, per quanto possa essere rassicurante confrontarsi con qualcuno col kalashnikov a tracolla e il dito sul grilletto e qualche governo con la coscienza sporca fa finta di crederci, avvallando la teoria che la nuova generazione di integralisti islamici sia migliore di quella di vent’anni fa e sperando sotto sotto che anche con loro, a riflettori spenti, si possa ricominciare a fare affari.
Magari giocando di sponda con la grande Cina che, a differenza della grande America, non sembra per nulla disinteressata alle vicende di una nazione che da decenni non conosce il significato della parola pace, ma che è pur sempre sull’itinerario della via della seta. Per tacere di Erdogan, di Putin e di qualche altro vicino che su questo sfortunato paese qualche pensiero ce l’hanno pure fatto.
Già, ma i diritti civili che rischiano di tornare all’anno zero? E le fragili e traballanti istituzioni e le conquiste democratiche che crolleranno come un castello di carte? Sul grande scacchiere delle geopolitica internazionale questi non sono che aspetti secondari, un prezzo da pagare tutto sommato accettabile. L’importante è sapersi posizionare e scegliere le alleanze giuste in vista del businnes del futuro e della prossima, imminente spartizione del mondo.
E infatti, al di là delle dichiarazioni di circostanza e dell’accoglienza di qualche centinaio di profughi, giusto per decenza e per darla a intendere a una opinione pubblica debole di stomaco e sensibile agli aspetti umanitari, nessun governo farà niente e, almeno per ora, tutti staranno a guardare litandosi a seguire gli sviluppi della situazione. Deplorando, auspicando, condannando gli eccessi, ma senza calcare troppo la mano.