Omicidio Pamela Mastropietro: Oseghale condannato per coltellate inferte mentre era viva

La sentenza di condanna in carcere di Innocent Oseghale è stata motivata dal giudice della Corte di Assise di Appello di Ancona. Dalla motivazioni emergono dettagli agghiaccianti sulla morte della giovane Pamela Mastropietro.

Omicidio Pamela Mastropietro: Oseghale condannato per coltellate inferte mentre era viva

Ricorderemo tutti l’omicidio di Pamela Mastropietro, la 18enne romana uccisa, nel suo appartamento a Macerata, il 30 gennaio 2018. Il suo è uno dei casi di cronaca nera più forti, in quanto il suo killer, Innocent Oseghale, è stato condannato per omicidio volontario aggravato da violenza sessuale, vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere.

Ieri il giudice della Corte di Asssie di Appello di Ancona, Giovanni Trerè, ha motivato la sentenza di condanna in carcere di Oseghale, in questo modo: “Le lesioni sul corpo di Pamela Mastropietro sono lesioni inferte in vita, con un’arma da taglio e da punta monotagliente”. 

Le lesioni, si legge, sono state inferte a distanza di qualche minuto l’una dall’altra, determinando un’emorragia con perdita importante di sangue che ha portato Pamela alla morte in meno di mezzora.

Il macabro delitto 

Il corpo della giovane e bella Pamela venne ritrovato a gennaio, in due trolley, dopo essere stato abbandonato dal suo omicida, sul ciglio di una strada a Pollenza, vicino Macerata. L’uomo la uccise con 2 coltellate al fegato, dopo un rapporto sessuale, approfittando della sua fragilità, essendo Pamela borderline e tossicodipendente.

La giovane era scappata il giorno precedente da una comunità terapeutica e aveva assunto dell’eroina procurata da Oseghale che, secondo l’accusa, l’avrebbe uccisa e fatta a pezzi per evitare che lei lo denunciasse.

Molto ambigua la figura del taxista

Secondo la Corte di Assise d’Appello di Ancona, la figura del taxista, di origini camerunensi, che Innocent Oseghale ha contattato telefonicamente poco dopo le 22 del 30 gennaio 2018, per farsi portare fino al punto dove, il mattino seguente, sarebbero stati ritrovati i due trolley, contenenti i resti della povera ragazza, sarebbe “molto amnbigua e tutt’altro che limpida”. 

Nella motivazione della sentenza di condanna si legge che il taxista sarebbe ritornato in via dell’Industria di Pollenza, nella stessa notte dell’efferato omicidio, dopo aver accompagnato l’imputato a Macerata ma non certo per verificare se quello avesse preso i trolley ma per accertare cosa vi fosse al loro interno. 

“II teste riferiva di aver capito addirittura che si trattava di resti di un corpo femminile perchè le unghie avevano lo smalto”, si legge nella motivazione. Stando così le cose, torna forte l’ipotesi della famiglia di Pamela: quella secondo la quale l’imputato non avrebbe agito da solo. 

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