Sono le notizie che non vorremmo mai leggere, soprattutto in mezzo a un mare sconclusionato di esperti, negazionisti, complottisti, di “ci vogliono impauriti” e di “Non ce lo dicono“.
È morto l’infermiere che lavorava presso l’ospedale Valduce di Como e che viveva intubato in terapia intensiva ormai da tre mesi. Javier Chunga, infermiere 59enne di origini peruviane, ci ha lasciato ieri, 20 agosto 2020, all’ospedale di San Gerardo di Monza.
Javier è stato ricoverato per circa tre settimane nell’ospedale dove lavorava, per essere poi trasferito nel reparto di terapia intensiva a Monza. Ferisce e fa arrabbiare questa morte, perché accade in mezzo a tante altre e perché lui, ammalatosi a maggio, quando il lockdown iniziava ad attenuarsi, non ce l’ha fatta.
Lo racconta il primario di Como, che Javier è stato il primo infermiere di questo ospedale a non farcela e proprio lui era tra coloro che non hanno mai lesinato la trincea, in questa guerra dissacrante contro un virus che non lo ha perdonato. Proprio in terapia intensiva l’infermiere ha prestato servizio, con totale dedizione, fino all’ultimo, come faceva già da anni.
Chunga ha trascorso gli ultimi tre mesi intubato in terapia intensiva, accudito dai colleghi e dai medici che lo hanno sempre stimato per la bella persona che era, per l’amore per il suo lavoro e la gentilezza che ha sempre riservato a tutti i pazienti.
Nonostante morti simili, viviamo un continuo tartassamento legato alla possibilità data a chiunque, attraverso i social media, di esprimere pensieri e dare sentenze anche in merito a un virus che ha messo in ginocchio un paese e tanti altri in tutto il mondo.
Eppure, i casi come quello di Javier Chunga non sono stati rari, tanto è vero che il nostro Paese ha dovuto salutare, oltre a 35 mila italiani morti in pochi mesi, anche 177 tra medici e infermieri.