Studio italiano conferma l’esistenza di un nesso tra calciatori e insorgenza della SLA

Era già risaputo da diverso tempo, ora è giunta anche un’ulteriore conferma da parte della scienza: uno studio tutto italiano ha ribadito che esiste una correlazione tra calciatori e insorgenza della SLA, la Sindrome Laterale Amiotrofica.

Studio italiano conferma l’esistenza di un nesso tra calciatori e insorgenza della SLA

Da diversi anni la scienza tenta di trovare una spiegazione a quella che è la relazione che lega il mondo del calcio a una temibile malattia come la SLA, la Sindrome Laterale Amiotrofica. Molte ricerche hanno innegabilmente evidenziato l’esistenza del nesso, ma a fronte di tutto ciò, le cause di questo legame non sono mai state chiarite.

A confermare l’esistenza di questo rapporto è stata anche una recente ricerca portata a termine da Elisabetta Pupillo e Ettore Beghi dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS. Con loro hanno collaborato anche Nicola Vanacore dell’Istituto Superiore di Sanità e l’Associazione Italiana Calciatori (AIC).

Come già appurato esaminando i 23.586 calciatori che hanno militato in serie A, B e C dalla stagione 1959-’60 a quella 1999-2000, anche l’aggiornamento dello studio all’anno 2019 ha permesso di confermare la maggiori probabilità dei calciatori di venire colpiti dalla SLA. Il rischio di contrarre la malattia è infatti doppio rispetto alla popolazione generale, arrivando ad aumentare di ben sei volte se si confina l’analisi alla sola serie A.

Tra i 34 casi di SLAindividuati, i più vulnerabili sono risultati i centrocampisti (15 casi) seguiti dai difensori (9), attaccanti (7) e portieri (3). Ma oltre ad essere maggiormente soggetti, i calciatori sviluppano la malattia anche in età più giovane rispetto al resto della popolazione (45 anni contro la media europea di 65,2 anni). A fronte di questi risultati, è stato però ribadito che non esiste correlazione tra l’insorgenza della SLAe la squadra in cui si è militato.

Come ha avuto modo di sintetizzare Ettore Beghi del Dipartimento Neuroscienze dell’Istituto Mario Negri, “i dati definitivi ci dicono che le differenze sull’età d’esordio si confermano importanti”. Come da lui aggiunto, è palese che il numero di calciatori che contrae la degenerazione neuronale risulta molto alta, “ma non sappiamo ancora il perché.

Sul punto sono state formulate una serie di teorie, anche se si è indotti a pensare che per trovare la spiegazione si debba cercare non tanto nel gioco del calcio, ma in una serie di concause come il ruolo dei traumi, l’attività fisica intensiva, un più costante uso di sostanze farmacologiche e una particolare predisposizione genetica.

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