Risolto il “caso” Giacomo Leopardi: “Non era depresso, non era uno sfigato. Morì per un male genetico” (1 / 2)

Risolto il “caso” Giacomo Leopardi: “Non era depresso, non era uno sfigato. Morì per un male genetico”

Risolto il “caso” Giacomo Leopardi: “Il poeta non era depresso, morì per un male genetico”

 

Erik Sganzerla è un medico monzese ed ha studiato le sue lettere arrivando ad una conclusione: il poeta Giacomo Leopardi era affetto da spondilite anchilopoietica giovanile, una malattia rara che si può manifestare dopo i 16 anni.

Erik Sganzerla di 68 anni, da 25 anni è direttore della neurochirurgia dell’ospedale San Gerardo-Università Bicocca.

Il dottore ha voluto riaprire un cold case ricostruendo la cartella clinica di Giacomo Leopardi, lo ha fatto nel volume “Malattia e morte di Giacomo Leopardi” che mercoledì 16 gennaio presenterà alle 20:45 nell’aula magna del liceo Mosè Bianchi in via della Minerva.

“Non era un depresso, non era uno sfigato come direbbero i ragazzi di oggi, non era affetto da malattia tubercolare ossea”. Partendo dalle 1969 lettere che compongono la corrispondenza del poeta, Sganzerla ha potuto ricostruire le fasi della sua malattia partendo dall’insorgere dei primi sintomi, alla loro evoluzione, fino ad arrivare a una nuova ipotesi che esclude quindi il morbo di Pott o la spondilite tubercolare.

 

Il neurochirurgo non ricorda esattamente a quando risale il suo interesse per Leopardi di certo, afferma, è nato sui banchi del liceo Beccaria di Milano quando c’era chi stava dalla parte di Manzoni e chi di Leopardi:Io non ho mai amato troppo Manzoni”. Negli anni a seguire, si è affacciato sempre più sulla neurochirurgia infatti ha fatto parte del team di periti nel processo sulla morte di Stefano Cucchi. La sua passione era anche per la letteratura dell’800 ed ha collezionato per anni libri rari. Nel suo volume sono state pubblicate anche un paio di lettere di Leopardi così come una rara prima edizione corretta a mano dallo stesso poeta.