Era l’11 marzo 2011 quando un terremoto del nono grado della scala Richter danneggiava seriamente la centrale nucleare di Fukushima in Giappone. Il mondo intero rimase con il fiato sospeso in attesa di notizie riguardanti la sorte dell’impianto. Il timore di rivivere il dramma consumatosi 25 anni prima a Cernobyl era più che concreto, e sfortunatamente si avverò fin troppo in fretta con tutto il suo strascico di polemiche.
A differenza dell’incidente del 1986 causato però dall’imperizia umana, qui ci mise lo zampino la forza della natura. Quello di Fukushima fu infatti il terremoto più forte mai registrato in Giappone, nonché il quarto più forte mai rilevato dall’uomo. Ad ogni modo entrambi gli incidenti vennero classificati con il grado 7 della scala INES, unità di misura utilizzata dall’AIEA per catalogare la rilevanza degli incidenti nucleari.
Ma a distanza di 7 anni da quell’evento infausto, si può dire che l’emergenza sia stata superata? Secondo Greenpeace la risposta non può che essere no. Da un’analisi delle aree contaminate dal disastro, si scopre infatti che in alcune zone si evidenziano “valori di contaminazione radioattiva fino a 100 volte superiore alle norme”. In altre parole i livelli di radiazione rimangono talmente alti da non rendere sicuro il ritorno dei cittadini sfollati.
Sono proprio queste le conclusioni di uno studio condotto da Greenpeace nella prefettura di Fukushima ed intitolato Reflections in Fukushima: The Fukushima Daiichi Accident Seven Years On. Secondo la celebre organizzazione non governativa, i livelli di contaminazione si manterranno a lungo oltre 1 millisievert all’anno, livello massimo raccomandato a livello internazionale in merito alle esposizioni da radiazioni. Tutto ciò non collima con la decisione presa lo scorso marzo, quando le autorità rimossero l’ordine di evacuazione.
Anche a seguito della decontaminazione, i livelli di radioattività rimangono infatti preoccupanti. Per fare degli esempi, in una casa di Tsushima all’interno della zona di esclusione di Namie, si stima la presenza di una dose di 7 mSv all’anno. Nella scuola di Namie i livelli raggiungono i 10 mSv l’anno, mentre nella zona di Obori si raggiungono addirittura i 101 mSv. Da qui Greenpeace Giappone ha ammonito il governo nipponico sui provvedimenti che fino ad oggi hanno permesso a non pochi sfollati di tornare a casa. Tutto ciò sarebbe incompatibile con la tutela della salute e della sicurezza dei propri cittadini.