Quando – nel 2015 – partecipò ad una conferenza sulla tecnologia, organizzata da Goldman Sachs, Tim Cook, il CEO di Apple, disse che l’Apple Watch sarebbe stato l’orologio che ci avrebbe cambiato la vita e, in più riprese, ha inteso a sottolineare – negli anni successivi – come ciò possa avvenire in ambito salutistico. Probabilmente, l’ha preso sul serio un avvocato 50enne che, colpito da infarto nel mezzo della notte, è stato svegliato ed allertato dal suo Apple Watch, in tempo per recarsi al pronto soccorso, in ospedale, ove è stato operato d’urgenza.
Già più di un anno fa (Marzo 2016), negli USA, era successo che l’Apple Watch salvasse una vita. In quell’occasione, era accaduto al pensionato sessantenne Dennis Anselmo che, nel mentre montava la staccionata al giardino di casa, si sentì molto stanco e si sedette per riprendere fiato: giocherellando con il suo Apple Watch, notò che venivano segnalati 210 battiti al minuto. Troppi, considerata la sua media di 50 bpm: da qui la chiamata dell’ambulanza, con conseguente ricovero in ospedale. I medici, in quell’occasione, gli dissero che quell’orologio gli aveva salvato la vita perché, qualora fosse andato a coricarsi, avrebbe avuto un secondo attacco cardiaco, forse fatale, nel sonno. Decisamente fortunato, tale epilogo, considerato che la moglie si era infuriata all’acquisto hi-tech dell’uomo che, da appassionato collezionista, aveva già altri 35 orologi in casa.
Qualcosa di simile è accaduto nei giorni scorsi, sempre negli USA, ad un avvocato 50enne, Scott Killian, che – nel racconto fatto al sito 9to5mac – ha confermato di esser stato svegliato nel cuore della notte dalla vibrazione del suo Apple Watch, il quale – tramite l’app medica HeartWatch – gli aveva fatto notare come, in quel momento, lui avesse 121 battiti al minuto, un valore inusuale considerata la condizione di riposo in cui era, e le sue media abituali in fattispecie simili.
Da qui la sua decisione di recarsi al pronto soccorso ove, però, le sue pulsazioni erano tornate normali: come sempre avviene per i soggetti a rischio, in quel frangente gli vennero fatti degli esami del sangue che evidenziarono la presenza dei classici enzimi, o marker cardiaci, presenti in occasione di un infarto. Ovvia la conseguente decisione di portarlo in sala operatoria, dove una coronografia riscontrò blocchi in ben 4 arterie, con conseguente necessità di impiantargli degli stent (mollettine microscopiche che dilatano i vasi sanguigni).
Anche in quel caso, i medici gli hanno fatto ben capire che, qualora avesse continuato a dormire, sarebbe morto nel sonno. Non il massimo, considerando che l’uomo, nei mesi precedenti, aveva già fatto diversi esami medici per escludere malfunzionamenti al cuore, arrivando a spendere persino 10 mila dollari in trial clinici che, di tutta la sua pesante patologia, non avevano riscontrato assolutamente alcuna parvenza.