Vietnam, un gruppo di manifestanti ha realizzato una protesta contro l’installazione di una piattaforma petrolifera cinese in acque contese, e ha incendiato più di una dozzina di fabbriche cinesi. Il fatto è avvenuto proprio all’indomani della protesta di migliaia di vietnamiti che lavorano presso una zona industriale gestita da investimenti stranieri. La vicenda rischia di incrinare i rapporti tra Hanoi e Pechino, e potrebbe causare danni ancora maggiori.
Sono quindici le fabbriche cinesi ad essere state incendiate, tra cui numerose fabbriche tessili e di calzature. Secondo il rapporto dell’agenzia Nuova Cina, le autorità locali si sarebbero messe a disposizione per porre fine alle violenze, e cercare di non far propagare l’incendio. Le proteste sono contro la Cina e la sua decisione di mandare una piattaforma sottomarina nel Mar della Cina Meridionale. Le acque appartenenti a questa zona sono però rivendicate anche da Hanoi, e da qualche giorno tutto il tratto è impegnato da una lotta per il dominio del luogo.
Al momento non si hanno notizie di vittime, ma la situazione potrebbe degenerare e le conseguenze potrebbero rivelarsi ben più gravi. A rivendicare il possesso di tutto il Mar della Cina meridionale è Pechino, e non solo con il Vietnam, ma anche con le Filippine, il Brunei, la Malaysia e il Taiwan. La polizia ha arrestato 500 persone che nei giorni scorsi hanno preso parte alle violenze, ma non si placa la protesta, ed esplode ancora di più contro l’imperialismo cinese nei mari. Oltre 20 mila sono state le presenze dei manifestanti, che hanno assaltato le fabbriche cinesi decisi a distruggerle con il fuoco.
La rabbia per la presenza di imprese cinesi in un territorio in cui si credono padroni è stato incontenibile, e sarà difficile reprimere la rivolta di una popolazione assetata di giustizia. Il contenzioso tra i due paesi è difficile da sciogliere, ma più difficile ancora sarà placare l’ira dei rivoltosi, che non vogliono piegarsi alle decisioni dei loro capi di governo.