Sono passati venticinque anni dal giorno in cui morirono Paolo Borsellino e quasi tutti gli uomini della sua scorta e, a distanza di tutto questo tempo, c’è chi ha voluto ancora una volta ricordare ciò che accadde quel terribile pomeriggio del 19 luglio in via D’Amelio, a Palermo. A farlo, stavolta, è l’ispettore di Polizia Giuseppe Garofalo, uno dei primi ad arrivare sul luogo della strage.
Il toccante racconto di Garofalo è stato fatto nel corso di una recente intervista, rilasciata in esclusiva al quotidiano nazionale “La Repubblica”, durante la quale l’ispettore ha raccontato le immagini apocalittiche che gli si sono presentate dinanzi, subito dopo l’esplosione del tritolo contenuto in una piccola autovettura – modello Fiat 126 di colore rosso – parcheggiata nella strada.
“Sembrava l’inferno”, racconta il poliziotto, che si mise subito a soccorrere e a far allontanare dal luogo della strage i tanti residenti che si riversavano in strada impauriti e feriti. Ma, in questo inferno dantesco, stando a quanto raccontato da Garofalo – fatto di fumo, fuoco, polvere e detriti (ed anche di resti umani) – c’era una nota stonata: un uomo distinto che indossava una giacca.
L’ispettore dichiara di aver visto l’uomo aggirarsi intorno alla macchina del giudice Paolo Borsellino, cosa che lasciò perplesso Garofalo, tanto da indurlo ad andare dall’uomo e chiedergli chi fosse e per quale motivo stesse lì. Sembra che la risposta non tardò ad arrivare: l’uomo – racconta Garofalo – faceva parte dei servizi segreti.
L’uomo dei servizi segreti era lì per cercare la valigetta portadocumenti dove il giudice custodiva la sua agenda rossa, fogli dove sono state annotate le considerazioni e i pensieri del giudice circa i fatti di mafia su cui stava lavorando. Dopo 25 anni di indagini – fatte male e durante le quali sono stati commessi innumerevoli errori investigativi e giudiziari – per i familiari del giudice ucciso, ancora in attesa di giustizia, sono tanti i buchi neri ancora presenti.