Giovanna, malata di Sla, era in cura presso la clinica San Vitaliano di Catanzaro, e aveva spedito al suo avvocato una drammatica lettera : “Avvocato, la prego. Mi aiuti, mi stanno ammazzando. Faccia denuncia e chiami in clinica. Non voglio morire… faccia sigillare la clinica”. La donna, nonostante la malattia implacabile che la affligge, è perfettamente in grado di intendere e di volere, riesce a comunicare grazie ad un computer capace di registrare i movimenti delle pupille: “Io sono tetraplegica ma conservo grazie a Dio alcuni movimenti direzionali e mi esprimo con l’ausilio di un puntatore ottico. Vivo nella paura, sono psicologicamente scioccata: non vogliono dimettermi, mi fanno mancare assistenza. Voglio andarmene da quest’inferno. Ho paura”.
La denuncia di Giovanna ha portato alla luce una situazione agghiacciante, le intercettazioni ambientali inserite nell’ordinanza di custodia cautelare confermano i gravi maltrattamenti a cui la signora era sottoposta: la pm Stefania Paparazzo ha disposto gli arresti domiciliari per un medico ed altre 8 persone, infermieri e assistenti sanitari della casa di cura del gruppo Citrigno.
La condotta del Dott. Giuseppe Rotundo è stata definita grave e deplorevole, era perfettamente a conoscenza delle molestie, minacce e soprusi a cui Giovanna era sottoposta giornalmente, non ha fatto niente per far cessare gli accadimenti, arrivando a deridere la malata dicendole che le sue denunce non avrebbero avuto corso. Gli operatori all’interno della casa di cura si sentivano al di sopra della legge, un senso di impunità li avvolgeva: dicevano che il reparto erano loro, che è più facile credere ai sani che ai malati muti.
Il giudice per le indagini preliminari sentenzia che fra quelle mura vi sono stati maltrattamenti reiterati e sistematici del personale medico e paramedico: i sanitari trattavano Giovanna come fosse un peso, la minacciavano continuamente di privarla del computer, l’unico mezzo che le consentiva di comunicare.
I sanitari della clinica San Vitaliano si rivolgevano con rabbia e disprezzo alla signora malata, come se le stessero facendo un favore svolgendo il loro lavoro: le intercettazioni hanno fatto comprendere a che livello di degenerazione si era giunti. “Quanto c…. pisci… ti sei cacata“, “Puzzi, ragli comu ‘a ciuccia“, “Sei grassa quanto ‘na ciuccia”. Giovanna doveva quasi giustificarsi per la sua malattia, per l’impossibilità di muoversi: le dicevano che nessuno disturbava come lei, che mangiava grazie a loro, la minacciavano dicendole che avrebbero staccato il comunicatore.
Secondo il giudice il comportamento degli imputati rilevava un totale disprezzo della legge, della giustizia e ovviamente della paziente Giovanna che veniva chiamata “la denunciante” o “miss denuncia“.