I giudici del Tribunale di Milano hanno rigettato la richiesta di scarcerazione per gravi motivi di salute dei legali del boss mafioso Totò Riina, ritenendo il detenuto ancora capace di intendere e volere, e rimanendo dunque integra la sua capacità di stare in giudizio, condizione necessaria per essere sottoposto al processo relativo alle minacce che il boss corleonese avrebbe rivolto a Giacinto Siciliano, ex direttore del carcere di Opera.
Le minacce risalgono a qualche anno fa quando il boss mafioso fu intercettato dalle cimici e videocamere nascoste della Direzione Investigativa Antimafia, dislocate nel cortile dove Riina era solito passare la sua ora d’aria, passeggiando con un altro detenuto Alberto Lorusso, a cui confidava le sue intenzioni minacciose non solo nei confronti di Siciliano, ma anche contro il pubblico ministero Antonino Di Matteo e contro Don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione antimafia “Libera”. Con grande sorpresa mentre le minacce contro Don Ciotti sono state archiviate, quelle contro l’ex direttore del carcere di Opera sono state ritenute degne di essere rinviate a giudizio.
I legali del boss avevano chiesto una sospensione del procedimento a causa delle gravi condizioni di salute in cui versa il detenuto Riina che, stando alla relazione medica firmata dai sanitari dell’ospedale di Parma – dove il boss è attualmente ricoverato – , sembra essere in immenente pericolo di morte.
Ma gli stessi medici evidenziano, dopo aver raccontato meticolosamente il precario stato clinico del detenuto, come il boss sia comunque vigile e collaborante. Sono bastate dunque queste ultime due parole a far decidere i giudici milanesi circa la prosecuizione del processo a suo carico, ritenendo Totò Riina capace di stare in giudizio.
La stessa relazione è stata sottoposta al giudizio del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, che si è preso però dell’ulteriore tempo per giungere ad una decisione, anche in considerazione della recente indicazione della Corte di Cassazione su un ricorso presentato dai legali del boss, che ha sottolineato l’importanza di assicurare una morte dignitosa ai detenuti.
La Cassazione aveva quindi rimandato al giudice di Sorveglianza di Bologna per una nuova decisione, anche in considerazione dello stato morboso complessivo e delle gravi patologie afferenti il detenuto.