Fiammetta Borsellino, la figlia più giovane del giudice Paolo Borsellino – morto il 19 luglio del 1992 nella strage mafiosa di Via D’Amelio a Palermo – esce allo scoperto dopo anni di silenzio e si apre, raccontando verità, dubbi ed amarezze al giornalista Sandro Ruotolo nel corso di un’intervista esclusiva per la testata giornalistica online “Fanpage.it“.
Ci si avvicina al venticinquesimo anniversario della morte del giudice Paolo Borsellino, e nel ricordare quel tragico evento – sottolinea la giovane figlia del giudice – che la famiglia Borsellino pretende che si arrivi alla verità, che – secondo Fiammetta Borsellino – è stata allontanata, se non perfino evitata.
Per la famiglia Borsellino, dunque, sono stati 25 anni di buchi neri e di lunghissime lacune, presenti sia nell’ambito delle indagini investigative, ma anche in quello processuale. In un Pese senza verità, la Borsellino punta il dito sui legami tra il mondo degli appalti e lo Stato, e tra questi e il potere economico; legami su cui sembra stava lavorando il giudice Paolo Borsellino, poco prima di morire.
La figlia minore del giudice, che all’epoca della strage di Via D’Amelio a Palermo aveva appena 19 anni, si domanda per quale motivo non fu mai disposta un’indagine anche sull’allora Procuratore Capo del Tribunale di Palermo, Pietro Giammanco che, stando a quanto si apprende dalla voce della Borsellino, sembra non abbia informato il padre dell’arrivo dei 90 chili di tritolo che avrebbero poi ucciso il giudice.
Ma le accuse contro Giammanco non si fermano qui. Fiammetta Borsellino si domanda, infatti, per quale motivo il Procuratore Capo decise di non delegare a suo padre le indagini su Palermo.
Altro strano e singolare comportamento è quello – secondo la figlia del giudice – quello avuto dall’allora capo della Squadra Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, che se in un primo momento aveva dichiarato la distruzione della borsa porta documenti del giudice, dall’altro – dopo mesi – l’ha fatta pervenire alla famiglia con tanto di agenda rossa.