L’Isis è certamente il più grande spauracchio dell’Occidente degli ultimi anni: sin dalla fondazione dello Stato Islamico e della comparsa dei primi, terribili video riguardanti le esecuzioni, in Europa e negli Stati Uniti d’America il sentimento anti-musulmano è divampato come un incendio, corroborato dal cieco terrore di “poter essere i prossimi”.
Eppure i numeri non sono mai stati dalla parte dell’Isis dacché l’organizzazione, nonostante le straordinarie campagne di propaganda mediatica, sembra non avere mai preoccupato granché le grandi potenze internazionali, al punto che né la Russia né tantomeno gli States stessi avevano ritenuto opportuno scendere in campo in prima persona per arginare il fenomeno.
Soltanto negli ultimi mesi infatti, una volta raggiunto il climax (auspicato?) di violenza, le grandi superpotenze mondiali hanno infine deciso di destinare parte del proprio arsenale aereo ai bombardamenti sul campo in corrispondenza delle roccaforti dei terroristi in Siria ed in Iraq. Ed il risultato è stato subito devastante: sia per la popolazione civile, sia per i fondamentalisti islamici.
L’Isis ha infatti dovuto fare i conti con una moria straordinaria di leader e di guerriglieri, falciati a terra dagli eserciti regolari dei Paesi conquistati e dai movimenti di resistenza militante (in particolare dagli straordinari peshmerga curdi) e dall’alto dalle bombe della Coalizione.
Tant’è che gli analisti dell’IHS hanno recentemente stimato che, solamente nell’ultimo anno e mezzo del conflitto, l’Isis abbia perso ben il 28% dei territori conquistati in anni ed anni di guerra senza quartiere ai governi locali. I dati sono stati rilanciati dall’emittente britannica BBC, che ha spiegato come da gennaio 2015 – momento di massima espansione dello Stato Islamico – i terroristi abbiano dovuto abbandonare oltre un quarto dei propri territori.
Da una prima analisi sembra dunque che i bombardamenti abbiano sortito l’effetto sperato, costringendo l’Isis alla ritirata su molteplici fronti; tuttavia lo stesso presidente di IHS Russia Alex Kokcharov non ha perso occasione di tirare una stoccata al proprio Paese spiegando che: “Il presidente Putin ha detto che la missione della Russia era combattere il terrorismo internazionale”.
“I nostri dati suggeriscono che non è questo il caso, la priorità della Russia è quella di fornire sostegno al Governo militare di Assad“. Non una sorpresa dal momento che la Siria è l’ultima roccaforte russa rimasta in Medioriente, e che Stati Uniti e Turchia non aspettano altro che la caduta di Assad per poter mobilitare con “giusta causa” le truppe di terra oltre i confini siriani, dando il via all’occupazione propriamente detta; una prospettiva che Vladimir Putin intende scongiurare ad ogni costo, per non vedersi definitivamente cacciato fuori dallo scacchiere mediorientale.